IL BLUES
L’ottavo giorno Dio creò il blues. Questa è una frase che dico spesso ai concerti perché esprime un
concetto nel quale credo fermamente. Non sono affatto sicuro, come si dice a New Orleans, che San Pietro
ci guardi da lassù durante gli show e si segni i nomi di chi non canta a squarciagola con me per usarli il
giorno del giudizio universale, ma, che ci sia sopra di noi qualcuno che abbia, in qualche modo, inventato
la tristezza e la malinconia e la musica per esprimerla, di questo sono più che certo. Non so se mi sia nato
prima l’amore per l’armonica o per il blues, quello che so, è che la prima armonica che mi ha rubato il
cuore è stata quella dei Doobie Brothers in “Long train running”. Avrò avuto si e no dieci anni: ma che
suono quell’armonica! La libertà è una cosa di cui ho sempre sentito il bisogno e le regole mi stanno
ancora un po’ strette. Ecco perché a quattordici anni ho fatto “il mio bel libretto di lavoro” e sono entrato
in fabbrica. In quel posto, davvero terribile, ho fatto esperienze che puoi trovare solamente quando suoni o
ascolti un blues. All’epoca, per me, la musica blues era soprattutto quella dei Rolling Stones degli inizi,
anche perché trovare dischi della “musica del diavolo” per un ragazzo di provincia nella prima metà degli
anni settanta non era certo facile. Però “ci davo dentro” e piano piano ero riuscito a farmi una discreta
raccolta di dischi di blues.Uno dei “padelloni” a trentatre giri che più consumavo era il primo lavoro di
John Mayall e i Bluesbreakers (con Clapton alla chitarra). Centinaia, migliaia, le volte in cui avrò ascoltato
l’assolo di chitarra di “All your love” o quello di armonica di “Parchman farm”. Tentavo a quei tempi di
“seguire” con l’armonica questi dischi, ma era difficile, molto difficile, e d’altronde non c’erano libri, non
c’erano metodi, non c’era nulla. L’unica cosa era provare e riprovare. La frustrazione però aumentava ogni
giorno di più e mentre ero quasi sul punto di “mollare tutto” e passare oltre accaddero due episodi
importantissimi per la mia vita di “apprendista armonicista”. Il primo riguarda l’incontro quasi casuale con
un amico chitarrista che mi spiegò in pochi secondi “il trucco” per suonare l’armonica blues. Avete letto
bene: “pochi secondi”, ed io…io che avevo passato settimane a “rovinarmi” le labbra senza tirar fuori nulla
di “accettabile” dalla mia armonica ed ecco che con una semplice spiegazione il mio piccolo ma
meraviglioso strumento suonava il blues. L’altro episodio che, se mai ce ne fosse stato bisogno, accese in
me la passione per il blues e per l’armonica fu vedere e soprattutto sentire Paul Butterfield suonare con la
Band nel film “The last waltz” il fantastico brano di Junior Parker che porta il nome di “Mistery train”.
Ebbene quella versione splendida del classico portato al successo da Elvis Presley, magnificamente cantato
da Levon Helm insieme con l’“incredibile assolo di armonica” di Paul Butterfield ebbero sul mio corpo,
ma soprattutto sulla mia anima l’effetto di una autentica esplosione. A “peggiorare” ulteriormente la
situazione ci si mise pure Muddy Waters, figura che consideravo leggendaria avendo letto tantissimo di lui,
avendo ascoltato i suoi dischi ma non avendolo mai visto dal vivo, con una formidabile versione di “I’m a
man”, nella quale l’armonica di Butterfield seppure in secondo piano creava un effetto di tensione che
avrebbe fatto venire brividi di emozione a chiunque. Figuriamoci a me. E poi vedere questo anziano di
colore fronteggiare una band di giovani bianchi che lo veneravano e lo “rispettavano” come un semidio, mi
fece capire più cose sul blues di quanto tutti i libri che avevo letto sull’argomento fino ad allora avessero
mai fatto.
Da lì sono partito e subito dopo l’infatuazione per Paul Butterfield venne quella per James Cotton. Ho
avuto tra l’altro l’onore di aprire il concerto che questo grande ha fatto nell’ambito del “Pistoia Blues
Festival” 1993. Ah, che grande emozione poter scambiare quattro chiacchiere prima del concerto con colui
che era davvero il mio armonicista preferito in quel momento: gli confessai, (d’altronde se ne sarebbe
accorto) che metà delle frasi musicali che avrei suonato quella sera venivano dai suoi bellissimi dischi.
Mi ricordo, come se fosse oggi, di quanto James fosse eccitato dal fatto di poter suonare attraverso un
radiomicrofono con la possibilità di poter “passeggiare” su e giù per il palco senza la classica “rottura” di
essere collegato ad un cavo: per un musicista della sua generazione questa invenzione per noi “quasi
banale” doveva avere in sé qualcosa di straordinario. Un altro leggendario armonicista per il quale ho
“aperto” al teatro Colosseo di Torino è il grande Charlie Musselwhite. Anche in questo caso tremori alle
gambe e salivazione azzerata erano garantiti. Ma Charlie è una persona dolce e disponibile e quando gli ho
raccontato delle mie paure, ad aprire il concerto per un grande artista come lui (che tra l’altro è stato uno
dei miei armonicisti preferiti per anni) mi ha detto di non preoccuparmi e che comunque (se la cosa mi
poteva aiutare) anche lui era sempre un po’ nervoso ed agitato prima di un concerto, insomma gli esami
non finiscono mai…
Quello è stato un periodo di grandi emozioni per me e per i Chicken Mambo. Più o meno nello stesso anno
aprimmo il concerto anche per un grandissimo batterista jazz: Billy Cobham. Il leggendario musicista
americano è stato, suo malgrado, protagonista di un episodio abbastanza emblematico. Venivo da un
periodo di cocenti delusioni da parte di due artisti italiani (che tra l’altro musicalmente stimavo): avevo
“aperto” i concerti di Bennato e Mingardi che con noi si erano comportati da “grandi star”, non degnandoci
nemmeno di un saluto. Ebbene Billy Cobham, un “monumento” della batteria moderna, mentre i suoi
musicisti italiani andavano in albergo a riposare, si è voluto fermare al festival al quale partecipavamo
entrambi (l’Arenzano Blues Festival) e seduto su una sedia della prima fila, si è “goduto” tutte le nostre
“prove dei suoni”,con somma angoscia del nostro batterista di allora: il “seppur bravissimo” Corrado
Ciceri.
Alla fine delle prove Billy si è complimentato con noi e a Corrado (che era praticamente genuflesso) ha
detto bellissime parole sul suo modo di suonare la batteria nei Chicken Mambo.
Una autentica lezione di stile.
Questo è quanto spesso mi hanno insegnato i grandi artisti che ho incontrato durante tutti questi anni:
lezioni di vita che avevano tutte un unico denominatore comune: il Blues, ma anche l’umiltà come stile di
vita. Non ricordo più chi me lo ha detto, sicuramente un grande, ma nella vita e certamente nella musica
bisogna essere curiosi di tutto, perché, da tutto e da tutti si può sempre imparare qualcosa: dal grande
artista all’ultima della band che questa sera sta suonando in cantina.