La scena del sogno ne "Un lupo mannaro americano a Londra
John Landis ha diretto, negli anni ottanta, almeno due capolavori assoluti - "The Blues Brothers" & "Un lupo mannaro americano a Londra" - più una serie di film geniali e irriverenti che hanno fatto la storia del cinema americano di genere (in questo caso, il comico): "Una poltrona per due", "Spie come noi", " I tre amigos" e "Il principe cerca moglie". " Into the night", per contro, è un piccolo gioiellino misconosciuto (da noi) di comicità surreale e notturna.
I mitici Jake & Elwood Blues, "The Blues Brothers"
Parlando di John Carpenter, indicavo i suoi film come una delle poche cose che salverei degli anni ottanta... i film di Landis appartengono sicuramente a quest'ultima categoria.
Ho amato i fratelli Blues alla follia, tanto da chiamare il protagonista di The Angels Chronicles Jake Blues, e ogni tanto mi capita di risentirmi gli ululati londinesi di David Naughton (il protagonista del film), perchè il bello di un capolavoro è che lo puoi guardare e riguardare un'infinità di volte, senza che mai ti venga a noia... Dio benedica John Landis!
Scena della trasformazione "Un lupo mannaro americano a Londra"
A day in the life (parte terza)Racconto
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“ Mi devi un favore - ripetè Enrico alla porta chiusa. – e comunque l’ho capito, che ti stavi fumando una CANNA… - alzò la voce quel tanto che bastava a farsi sentire da tutto il piano. L’altro non sembrò rimanerne troppo sconvolto. La porta rimase chiusa e dopo un po’ Enrico se ne andò. Che diavolo ci poteva fare… mica poteva costringere quell’idiota con la forza. Era bello grosso, Micalta. Tornando di sopra gli toccò di far le scale. L’ascensore era bloccato al sesto, il suo piano, e pareva non volerne sapere. Appena arrivato sopra, Enrico ne capì il motivo. La donna delle pulizie lo aveva bloccato con il secchio mentre passava lo straccio del pavimento. “ Signora, le sposto il secchio così non blocca l’ascensore…”La donna smise di passare lo straccio. Lo guardò torvamente con occhi bovini e aggressivi. Una specie di vacca mannara. “Adesso scendo.” Disse.
E se t’azzardi a toccare quel secchio, ti stacco le palle con lo sturalavandini…
Se l’era immaginato o lo aveva detto davvero? Gli occhi della donna lo fissavano con malignità e disprezzo. Enrico le passò di fianco camminando rasente il muro, per evitare di sfiorarla. Molto probabile che gli avrebbe spezzato il manico della scopa sulla testa con una mossa di Nippon Kendo. Ritornò al suo ufficio dove le scartoffie giacevano come la prova di un reato sulla scrivania ad attenderlo, sparpagliate e implacabili. Si mise sotto a lavorare per cinque ore di fila. Alla fine gli venne un gran mal di testa e la vista cominciò ad offuscarsi. Se pigiava ancora un solo maledetto tasto di quel computer, la testa gli sarebbe esplosa come in quel film di Cronenberg.Decise che era ora di darci un taglio. Si infilò il cappotto e uscì dal suo ufficio.Il Dottor Renzoni, il capo, ci stava provando con una delle segretarie. Le sue mani mulinavano come impazzite, mentre Grazia, quella dell’ufficio pubbliche relazioni, ridacchiava con gran sballonzamento delle sue tettone. Non c’era uomo, alla Omega Trails, che non avesse posato gli occhi sopra quei due cocomeri almeno una volta. Per non parlare di quelli che ci avevano posato sopra l’uccello.“ Dottor Renzoni…”Il capo terminò la danza delle mani arrapate con una pacca amichevole sul culo della segretaria. Questa se ne andò per la sua strada sculettando violentemente, fiera delle sue tette e del suo culo a mandolino. Renzoni per un attimo si trasformò in un camaleonte: con un occhio seguì le chiappe di Grazia che si allontanava e con l’altro lo guardò con fare interrogativo. Alla fine, si concentrò su di lui.“ Mi dica, Rozza.” Enrico si grattò una guancia con fare perplesso.“ Quello che è successo stamattina nel mio ufficio…”“ Si…”“ Non mi era mai capitata una cosa del genere.”“ E ci credo!… come si sente, adesso?”“ Non so, ho come un tremolio alle mani, la vista mi si offusca… non riesco a smettere di pensare a quell’uomo… e a quello che poteva farmi…”
Oltretutto mi scappa pure da cagare.
Renzoni lo squadrò da capo a piedi. Enrico accentuò fino all’inverosimile il velo di tristezza sul suo volto e aspettò. Renzoni non era mica un figlio di puttana, dopotutto. Sapeva essere comprensivo, per essere un capoccia.“ Forse è meglio che si prenda un paio di giorni di riposo… che ne dice?”“ Non saprei… ho un sacco di lavoro arretrato…”“ Beh, ma non c’è problema. Darò le sue cose a qualche collega. Lei può suggerirmene qualcuno?”Enrico non riuscì a fare a meno di sorridere: “Penso che Micalta abbia le qualità adatte per sostituirmi.”Renzoni gli diede una pacca sulle spalle. “ Perfetto! Micalta si farà qualche straordinario. Dopotutto è un suo amico… o sbaglio?”“ Siamo amicissimi, è vero.”Quando uscì dal palazzo, aveva smesso di piovere; nell’aria c’era il profumo morbido che si sente appena passato il brutto tempo. Quell’odore persistente di foglie bagnate e asfalto umido. Prese il primo tram che gli capitò a tiro e ci salì sopra inebriato dai rumori vuoti, dall’eco che scivolava sul metallo arancione… sulle pubblicità e i sedili vuoti… la città era splendida e parzialmente deserta, così come il suo cuore e i suoi polmoni, liberi di respirare quella tranquillità relativa di un pomeriggio appena sbocciato, come una rosa in primavera. Una vecchia con l’ombrello lo guardò divertita e gli sorrise. Dava l’idea di essere mezza matta, ma per quel giorno la sua porzione di matti lui se l’era già presa, così forse era solo un po' stramba. Portava degli occhiali grandissimi, come quelli dei clown. Erano pieni di brillantini.Il tram si fermò nei pressi di un parco ed Enrico scese. Le nuvole si allontanavano dalla città sparpagliandosi come bolle di sapone. Ritornava il bel tempo e qualche passero aveva già ripreso a svolazzare per traiettorie schizofreniche. I cinguetti gli dissero che stava arrivando… Arrivava la primavera e tutto si sarebbe sciolto nel suo tepore. Anche gli stramaledetti problemi. Andò verso il mare verde infinito e giunto nei pressi di un albero solitario vi si sedette, appoggiandosi con la schiena al tronco. L’erba era bagnata e di un verde mai visto. Il cielo un oceano capovolto. Enrico incrociò le mani dietro la testa, chiuse gli occhi e si lasciò trascinare dalla sua corrente. Si addormentò come un bambino.
FINE
Depositato S.i.a.e. O.l.a.f.
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