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Non avevamo parlato nel 2010 della scoperta di un batterio che “sembrava” avere come costituente fondamentale del proprio DNA l’arsenico, al posto del fosforo che è invece presente in tutti gli organismi viventi [ http://alturl.com/znig7 ]. Era una ricerca che vedeva coinvolta la NASA e che, se confermata, avrebbe avuto delle implicazioni biologiche molto importanti: l’arsenico è infatti letale per quasi tutti gli organismi. Avevamo invece visto, in materia di invecchiamento nell’Uomo, come un modello biostatistico fosse sì riuscito a individuare dei marcatori genetici legati all’invecchiamento, ma poi fosse anche stato necessario ritrattare, almeno in parte, tutti quei dati [ http://alturl.com/bzhpv ].
Comunque, il presunto batterio all’arsenico aveva sollevato molte riserve all’interno della comunità scientifica, tanto che Felisa Wolfe-Simon, primo autore della pubblicazione apparsa su Science, aveva a un certo punto smesso di rispondere ai quesiti e alle richieste di approfondimenti da parte dei colleghi ricercatori. Ora, sempre Science presenta due ricerche indipendenti che dimostrano come quel batterio in realtà debba comunque usare un po’ di fosforo per sopravvivere: il punto è che non è in grado di vivere solo (!) in presenza di arsenico, ma più semplicemente riesce a evitarne gli effetti tossici [ http://alturl.com/t8boh http://alturl.com/gkb2n ].
Quindi, se le basi genetiche dell’invecchiamento umano sono qualcosa di molto complesso, anche il batterio “all’arsenico” è da studiare con estremo rigore scientifico. Tanto che Science stessa ci ricorda come il processo scientifico, e quindi la sua comunicazione, siano in grado di auto-correggersi, dal momento che i ricercatori stessi cercano di verificare i risultati precedentemente ottenuti dai colleghi. Perciò, “la rivista Science pubblica ora ulteriori informazioni su un batterio particolarmente resistente, in grado di aiutare la comprensione dei meccanismi di resistenza all’arsenico”.
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