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Il Bordello dei Gentili

Creato il 07 febbraio 2011 da Lucas
Leggere il Gianfranco Ravasi è (quasi) sempre piacevole. Con un'argomentazione lineare e uno stile piano – e sfoggiando ogni volta la sua profonda conoscenza scritturale e culturale in genere – il forbito cardinale cerca continuamente il dialogo tra credenti e non credenti, tuttavia mai mettendo in causa la certezza della sua fede.Anche oggi, su La Domenica de Il Sole 24 Ore, affrontando il tema della laicità. Leggiamo.

Il termine “laico”, nonostante l'attuale accezione dominante, ha sostanzialmente una genesi “religiosa” (designava, infatti, il semplice fedele “popolare” - da laòs, in greco “popolo” - rispetto alla gerarchia ecclesiastica).

Detto questo, Ravasi imposta il discorso sulla laicità partendo dal famoso detto attribuito da tre evangelisti a Gesù del rendete a Cesare quel ch'è di Cesare e a Dio quel ch'è di Dio
Risposta tagliente e a prima vista netta nel tracciare una linea di demanarcazione che dovrebbe esorcizzare ogni teocrazia […] e ogni cesaropapismo
Ma visto che Gesù pronuncia quella frase tenendo fra le mani una moneta con l'«immagine, l'icona» dell'imperatore, bisogna considerare anche che Gesù stesso faceva quasi certamente riferimento, per il suo uditorio ebraico, a un passo della Genesi (1, 27) dove
si ha una celebre e suggestiva definizione dell'essere umano come «immagine» di Dio. Si delinea in tal modo, un profilo specifico dell'aria «di Dio» distinta da quella «di Cesare». Si tratta della tutela della dignità superiore e inalienabile della persona e della sua natura intrinseca: la libertà, le relazioni, l'amore (nel passo della Genesi si rimanda esplicitamente al «maschio» e alla «femmina» e non al solo maschio come «immagine» divina), i grandi valori etici assoluti della solidarietà, della giustizia, della vita non possono essere meramente funzionalizzati all'interesse politico-finanziario e piegati esclusivamente alle esigenze delle strategie del sistema o del mercato. La missione dei profeti biblici e dello stesso Cristo è stata appunto quella di essere una sentinella sulla frontiera tra Cesare e Dio, proprio nella difesa di questi valori. Memorabile è il «Non ti è lecito!» che Giovanni Battista grida all'arroganza del potere del re Erode Antipa
tico Berlusconi.Ecco il vero leggere tra le righe. Ravasi non può altro che esprimersi sulle tristi vicende della contemporaneità rifacendosi a celebri esempi storici.
È, però, indiscutibile che la questione si aggrovigli quando si procede nella declinazione storica di questa visione di principio, proprio perché entrambi gli attori, Cesare e Dio, ossia lo Stato e la Chiesa o il laico e il credente, si interessano di un soggetto comune, la società fatta di uomini e donne, e quindi i contrappunti e i conflitti di giudizio sono sempre in agguato. Ci si è, così, lasciati spesso tentare dalle scorciatoie.
E quali sono queste scorciatoie? Teocrazia da una parte e laicismo dall'altra (quest'ultimo inteso come cosa diversa dalla laicità in quanto, a detta di Ravasi, vuole elidere il religioso dalla società tanto quanto la teocrazia vuole cancellare e/o impedire ogni forma di secolarizzazione. Riportando un monito di Schelling, rivolto allo storico e al teologo, a «custodire castamente la propria frontiera», Ravasi intravvede che tale frontiera consista nell'
impedire che lo stato diventi un Moloch e l'economia un Leviatan dominatore e che la Chiesa debordi dal suo orizzonte assumendo forme di integralismo.
E fin qui saremmo d'accordo; senonché il Monsignore assesta uno scapaccione alle – a suo dire – impertinenze della laicità che si dimostra “insofferente e indispettita”

nei confronti di ogni dichiarazione religiosa di indole civile o sociale, senza cercare prima di vagliarne il merito, se etico oppure fondamentalistico. In causa è chiamato soprattutto il cristianesimo che è di sua natura “incarnazione”, e quindi non si isola nei cieli mitici e mistici, ma proclama la dignità della “carne”, cioè dei grandi valori umani e la lettura del Vangelo ne è un'immediata conferma. La religione cristiana autentica e completa ha nel suo stesso Dna una vocazione “sociale”. Chesterton osservava che «tutta l'iconografia cristiana rappresenta i santi con gli occhi aperti sul mondo, mentre l'iconografia buddhista rappresenta ogni essere con gli occhi chiusi nella contemplazione interiore».

Eccoci: il cristianesimo è una religione a statuto speciale, come la Val d'Aosta o la Sicilia. Dacché si fonda sulla Resurrezione della carne del corpo del Cristo, allora ha pertinenza, legittimità nel parlare dei fatti carnali delle vicende umane.Berlusconi ha il culo flaccido e s'indurisce il pisello con le pilloline e i miei occhi – lo diceva Chesteron eccheccazzo – cadono proprio lì, sul pisello dell'imperatore. Era meglio morire buddisti, te lo dico io.Ma aspettate che Ravasi subito si accorge delle possibili (le mie) malevole interpretazioni. Allora pone rimedio. Il cristianesimo ha voce in capitolo negli affari “imperiali”, ok, ma fino a un certo punto. Infatti san Paolo si colloca all'interno del sistema imperiale romano […] così come san Luca negli Atti degli Apostoli riconosce la sostanziale bontà del diritto romano nei confronti dei suoi cittadini.
Questo finché non cominciarono le repressioni anticristiane, sia chiaro. Ecco: dateci pane (finanziamenti)e salame (diritti civili e bioetica secondo il nostro dettame) e noi non lanceremo anatemi.
Sacro” e “laico” non sono antitetici, pur essendo in radice differenti. Sbaglia il “sacralismo” clericale quando sogno di “consacrare” il profano ritenendolo in sé negativo, cancellandone l'identità, così come è in errore il “laicismo” secolaristico quando programma l'eliminazione di ogni segno religioso nell'aeropago della società come presenza illegittima e indegna e disdegna ogni monito spirituale e morale, considerandolo come un'interferenza inaccettabile. Il sacro autentico non si oppone né vuole elidere il profano, ma lo chiama a dialogo, lo interpella e ne è interpellato, lo feconda rispettandone le competenze,
[da notare come, in quest'ultimo caso, Ravasi sia solamente “attivo”  nel fecondare]

lo provoca sui valori fondanti e permanenti dell'etica. Interrogarsi reciprocamente scoprendo il terreno di condivisione è il dialogo necessario che allontana il rigetto o la “con-fusione”. L'esito finale positivo potrebbe essere quello che Gandhi delineava in questo suo settenario ideale: «L'Uomo si distrugge con la politica senza principi etici, con la ricchezza senza lavoro, con l'intelligenza senza il carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la religione senza fede, con la solidarietà senza il sacrificio di sé».

Bello, vero? Sì, forse, si potrebbe. Ma bisogna cambiare imperatore. Infatti, tra le righe finali del brano gandhiano, è facile individuare – in ogni passo del “settenario” – una critica precisa alla figura di Berlusconi. Ravasi insomma non te manda a dire dietro caro Silvio. E pensare che veniva da te, la domenica mattina (ci viene ancora? Non lo so) a fare la sua predica su Canale 5.

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