Magazine Cinema
di Gabriele Albanesi
L'orrore... l'orrore...
La peggiore delle vaccate, un film che porta il trash a nuovi e sorprendenti livelli.
Chiaramente è l'opera di un appassionato di horror, uno che si è visto tutte, ma proprio tutte le peggiori cazzate mai uscite senza però imparare assolutamente nulla.
Il bosco fuori è un pò un omaggio a film come Demoni, Phenomena, Non aprite quella porta, e poi... e poi niente, oltre a delle basi e delle fonti di ispirazione non ha assolutamente nulla. Il bosco fuori è assenza di cinema.
Il film comincia con il viaggio in macchina di una famiglia, però si percepisce subito qualcosa di malsano e sbagliato, infatti il padre è Enrico Silvestrin, il figlio indossa un papillon e la macchina è una Lancia.
Comunque l'auto si schianta e il padre muore sul colpo, dopodiché la madre viene investita e assassinata da un individuo misterioso mentre il bambino si da alla fuga.
Memorabile il discorso tra madre e figlio poco dopo l'incidente:
"Giulio dobbiamo chiamare i soccorsi, ma il telefono ha solo una tacca"
E il bambino risponde urlando senza motivo "E PROVA!"
Già qui i dialoghi sorprendono per il loro dinamismo e per la spontaneità con cui gli attori li recitano, ma appena il film ingrana un pò, ci si rende conto di quanto tutto sia tremendamente didascalico ("Hai sonno ? sdraiati sul sedile e mettiti a dormire" "Spostati dalla strada altrimenti le macchine ti investono").
Altra cosa che balza subito all'occhio è l'attenzione ai dettagli. La scena è notturna, ma le luci sono troppe e la loro posizione cambia in continuazione producendo un'illuminazione innaturale, in altre inquadrature invece è evidente che le riprese sono state realizzate di giorno, così la luce notturna viene ricreata abbassando la luminosità della videocamera digitale o con dei pessimi filtri scuri...
Ma andiamo oltre... La scena viene troncata di netto, e senza troppe spiegazioni si passa a una vicenda diversa. Il protagonista è Rino, un ragazzotto con la cinquecento ammaccata che attraverso un flashback ricorda i momenti trascorsi con la sua ex ragazza Aurora. I due erano molto affiatati, infatti nel flashback lui le propone di fare all'amore mentre lei disegna, dopodiché la prende da dietro. Ora lui la va a prendere con il suo bolide e cominciano a litigare perché la relazione è finita, ma poco dopo accostano e trombano. Dai cartelli capiamo che i fatti si svolgono a Grottaferrata.
Qui fanno la loro comparsa 3 personaggi magnifici, i coatti Cesare, Ginger e Diego. Tre energumeni sboccati, strafatti e caricaturali che abbordano la coppietta e tentano di violentare Aurora dopo aver tramortito Rino.
Le scene con loro sono le migliori. Parlano un romanaccio forzato e si insultano per ogni inezia, inoltre si muovono su una Golf dai colori sgargianti ma al suo interno stanno incollati come se fossero in una Smart. Le loro battute memorabili: il sempreverde "A Dié, mavaffanculo và" pronunciato da Cesare e Ginger contemporaneamente, e "A regà, entriamo, violentiamo le donne e ce fregamo i lettori dvd" detto da Cesare poco prima di irrompere nella villa.
Insomma il dinamico trio sta per violentare la donzella, ma proprio al momento giusto compare Antonio, un uomo dal volto di ghiaccio (letteralmente) che salva i due ragazzi e li ospita nella sua villa. In macchina con Antonio c'è sua moglie, che, con la sua voce completamente priva di vita, rassicura Aurora: "Non ti preoccupare, Antonio sistemerà tutto".
A questo punto inzia la pacchia, ma non voglio rivelare troppo: dico solo che Antonio e sua moglie hanno un figlio a cui serve l'apparecchio. Il bambino è di una tristezza indescrivibile, ogni volta che viene inquadrato sembra terribilmente disgustato da qualcosa. Le scene con lui dovrebbero essere inquietanti, invece sono le più esilaranti. In pratica ammazza l'atmosfera.
Poi ci sono altri due personaggioni, i redneck Osvaldo ed Emidio. Il primo ha una specie di ustione che gli deturpa una metà del viso, il secondo ha un gigantesco tumore sulla clavicola. Non parlano, ma i loro sguardi dicono tutto... Il resto lo fanno le loro orrende risate convulse.
La storia insomma strapuzza di vecchio, anzi di cadavere, ma la realizzazione fa così pena che mi guardo bene anche dal considerarlo un buon omaggio.
Il finale, con il suo colpo di scena (?), è la degna conclusione di quella che è a tutti gli effetti una commedia demenziale.
Questa fucina di idee si fa notare anche per la realizzazione tecnica. Intanto c'è la macchina digitale, che rende l'orrendo ancor più orrendo. Poi ci sono una serie di terribili zoom alla Mario Bava sui volti dei personaggi, però i tempi sono tutti sbagliati e la telecamera ondeggia e tremola come una pazza. Infine, oltre ai già citati errori con le luci, ci sono una lunga lista di inquadrature involontariamente comiche o semplicemente brutte.
Si potrebbero salvare i trucchi e gli effetti speciali di Sergio Stivaletti, che tutto sommato non sono da buttare, ma purtroppo la realizzazione delle scene e la recitazione da cortometraggio amatoriale rovinano tutto il rovinabile. Gli attori non solo hanno le voci e le facce sbagliate, ma si muovono anche in modo ridicolo durante le fasi cruciali, non sono capaci nemmeno di morire o cadere in modo dignitoso.
Comunque vi consiglio di recuperarlo. Si ride di gusto.
Il bosco fuori è uno di quei film che bisognerebbe far vedere a chiunque ti dice "Il problema del cinema italiano è che non si da spazio a registi esordienti". Il sonno della ragione genera mostri.
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