di Vincenza Lofino
Si fanno sempre più aspre le relazioni diplomatiche tra Australia e Indonesia in merito alla questione dell’immigrazione clandestina a seguito di alcuni incidenti sul finire dello scorso anno. Si tratta di un tema molto sensibile e non solo dal punto di vista umanitario: tragedie di migranti provenienti dalla vicina Indonesia, si ripetono al largo delle coste australiane e ricordano i recenti scenari che hanno coinvolto i migranti africani diretti a Lampedusa in cerca di fortuna in Italia e in Europa. Sull’annoso problema non si giocano solo le sorti degli immigrati ma anche i destini delle relazioni e degli interessi comuni di Canberra e Jakarta.
La gestione dei flussi migratori – Non è la prima volta che tra Indonesia e Australia si verificano screzi sul tema dell’immigrazione. A scatenare l’ultimo scontro tra i due Paesi è stato il salvataggio di un’imbarcazione carica di 60 rifugiati in prossimità della costa meridionale di Java, in Indonesia, da parte di una nave militare australiana, lo scorso novembre 2013. Il gruppo tratto in salvo è stato poi trasportato nel centro di accoglienza di Christmas Island nell’Oceano Indiano, distante circa 200 miglia dall’Indonesia ma sotto la giurisdizione australiana.
Il Premier australiano e il suo Ministro dell’Immigrazione, Scott Morrison, hanno duramente attaccato in diverse occasioni l’atteggiamento delle autorità indonesiane, accusate di lasciare in mare aperto i barconi di immigrati clandestini. Da parte sua, il governo indonesiano si è giustificato, per voce del Consigliere del vice Presidente, Dewi Fortuna Anwar, spiegando che «non si tratta di Indonesiani ma di persone che hanno attraversato il nostro Paese per raggiungere l’Australia» e ha accusato infine Canberra di interferenze nelle politiche interne degli Stati vicini.
Questo episodio, congiuntamente alla diffidenza australiana nei confronti delle politiche migratorie indonesiane e alle difficoltà nell’affrontare il fenomeno, avrebbe fatto vacillare la già fragile cooperazione in materia di assistenza umanitaria ai profughi. Un accordo bilaterale del 2006 stabilisce infatti forme di cooperazione nella lotta all’immigrazione clandestina e al crimine transnazionale. Canberra aveva, inoltre, pressato l’esecutivo indonesiano affinché si assumesse tale onere dopo che quest’ultima aveva giustificato il rifiuto di accogliere i profughi sollevando il timore di un gravoso ed insostenibile “peso sociale” per il Paese.
L’Indonesia, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, è uno Stato sovrappopolato e una meta di transito per i migranti. I profughi diretti verso il Paese del Down Under sono uomini provenienti dai principali teatri di guerra come Iraq, Afghanistan, Somalia e Sri Lanka, ma anche dall’Iran e dal Sud-Est asiatico. Non potendo rimanere in Indonesia a causa delle restrizioni poste dal governo centrale in tema di concessione dello status di rifugiato e di regolarizzazione del fenomeno migratorio clandestino, gli individui vengono respinti verso i Paesi di origine oppure lasciati liberi di poter navigare – ovviamente in forma clandestina – in direzione delle coste australiane. Anche in questo caso, l’ufficio immigrazione australiano, non concedendo lo status di rifugiato politico, trasferisce i boat-people – così vengono definiti i profughi che arrivano a frotte dalla vicina Indonesia e che rappresentano solo il 5% dell’immigrazione verso l’Australia – nel centro di Christmas Island, un’isola ad ovest dell’Australia, appunto, e lì vengono regolarizzati. Tuttavia, a causa del costante aumento dei flussi il centro non è più in grado di sostenere il numero di migranti, tanto da costringere il governo a cercare accordi bilaterali con i Paesi vicini, come Nauru e Papua Nuova Guinea i quali, in cambio di importanti aiuti economici, accolgono gli immigrati clandestini giunti sulle coste australiane.
Dopo l’ennesimo episodio e nonostante le smentite ufficiali da ambo le parti, Jakarta e Canberra avrebbero deciso di avviare delle trattative in materia di immigrazione clandestina in modo da giungere ad un vero e proprio accordo finale, simile a quello ideato dal precedente governo laburista australiano con la Malaysia, ma poi fallito a causa delle pressioni dell’allora opposizione che giudicava l’accordo risibile. L’intesa prevederebbe, in sostanza, l’accoglienza da parte dell’Indonesia di immigrati intercettati dalla marina di Canberra; parimenti l’Australia dovrebbe ospitare sul proprio suolo un certo numero di rifugiati presenti nel Paese asiatico.
Il dibattito sull’immigrazione clandestina ha infiammato la nazione alle ultime elezioni di settembre. Durante la campagna elettorale Abbott aveva promesso un programma di ritorni forzati verso il Paese di origine, in particolare proprio verso l’Indonesia, impiegando se necessario anche le navi della Marina militare per respingere le imbarcazioni di immigrati che arrivano dall’arcipelago in questione esponendoli al grave rischio di provocare una strage in mare, data la precarietà dei mezzi.
A distanza di vent’anni (1992), quando fu introdotta la detenzione obbligatoria per tutti i “non-cittadini illegali” [1], l’Australia resta dunque ferma nell’interdire le sue coste e non sembra intenzionata a modificare la propria politica nei confronti dei migranti irregolari e di respingimento in mare. Si calcola che negli ultimi sei anni oltre 50.000 rifugiati abbiano tentato questo viaggio e che almeno mille di loro abbiano perso la vita.
Nel 2001, il grave caso dei profughi del Tampa, vicino Java, in merito al quale l’Australia si rifiutò di accogliere i 400 profughi afghani salvati poi da un mercantile norvegese, aveva creato un precedente critico agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Per risolvere le controversie, l’Australia aveva poi negoziato un trasferimento forzato dietro compenso nell’Isola di Nauru e, come si accennava poc’anzi, anche con Papua-Nuova Guinea. L’esistenza di micro-Stati satellite interessati a ricevere contropartite economiche in cambio di rifugiati ha, di fatto, facilitato la stipula di accordi di trasferimento.
Le ricadute sul piano interno – Numerose critiche nei confronti della politica anti-immigrazione australiana sono giunte da parte dell’opposizione laburista che ha criticato l’azione del governo in carica denunciando sia il limite normativo nel risolvere le delicate questioni in materia, sia la mancanza di un’adeguata assistenza umanitaria nei confronti di profughi. Amnesty International ha definito “disumano” il trattamento riservato ai profughi trasportati nei centri di detenzione dell’Isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, già noti per i suoi problemi di sicurezza e di ordine pubblico e per la brutalità dei suoi agenti di polizia. E’ di poche settimane fa (17 febbraio 2014) la notizia di un violento scontro a fuoco tra migranti diretti in Australia, respinti e fermati nei centri di raccolta di Manus e polizia papuana sorvegliante, nel quale sarebbe rimasta uccisa una persona e altre 77 sono rimaste.
Tuttavia, sulla questione immigrazione anche i governi laburisti guidati prima da Julia Gillard e poi da Kevin Rudd hanno commesso numerosi errori. Da un lato, questi auspicavano un’utopica soluzione relativamente alla quale tutti i Paesi di origine dei profughi avrebbero dovuto impegnarsi a trovare una soluzione comune per gestire le migrazioni; dall’altro, le stesse autorità australiane si sono mostrate in realtà più attente nella salvaguardia delle proprie relazioni diplomatiche con i Paesi coinvolti che a cercare con gli stessi soluzioni utili, quantomeno, ad arginare il fenomeno.
D’altra parte i governi laburisti, come oggi i liberali, avevano anch’essi proposto i respingimenti degli immigrati limitando la loro sosta australiana a pochi giorni necessari per predisporre il viaggio di ritorno verso la tappa precedente, solitamente quella indonesiana, e non verso il luogo di origine dei migranti. Gli effetti indesiderati e l’aumento di nuovi arrivi avevano di fatto rimesso in discussione e posto sotto critica i governi laburisti da parte dei gruppi conservatori fino alla loro caduta.
I limiti della cooperazione multilaterale - Affrontare il problema dell’immigrazione clandestina con provvedimenti drastici ed evitare di essere considerata una facile meta mostrandosi intollerante a livello internazionale è stata la preoccupazione principale dell’Australia nell’ultimo decennio.
Secondo le cifre fornite dal Dipartimento australiano per l’Immigrazione, nel 2010 sono giunti 6.535 immigrati, nel 2011 4.565, fino ad arrivare all’ultimo biennio in cui gli immigrati sono aumentati fino a 17.012 nel 2012 e a 11.017 nel 2013 (dati fino al 7 giugno).
Il numero sempre crescente delle richieste di asilo provenienti soprattutto dall’Indonesia ha complicato ulteriormente i rapporti tra i due Paesi, allontanando una soluzione condivisa sul tema. Jakarta sembra tuttavia aver accettato negli ultimi anni un approccio multilaterale che preveda il coinvolgimento dei Paesi di origine e di transito, simile a quanto avviene in Europa in tema di immigrazione clandestina.
Da qui il Bali Process, avviato nel 2002, che vede Australia e Indonesia seduti allo stesso tavolo assieme ad altri Paesi asiatici e alle organizzazioni internazionali impegnate nel contrasto ai traffici illeciti e nella tutela dei migranti e dei rifugiati. Proprio il forum internazionale rappresenta un limite nell’azione di contrasto al fenomeno perché fondato su intese regionali non vincolanti di trattamento dei richiedenti asilo che prevedono il loro successivo rimpatrio volontario o la sistemazione in Stati diversi da quello di ingresso.
Sebbene sia di fondamentale importanza lo sforzo di coinvolgere le istituzioni internazionali nel raggiungimento di un accordo sulla gestione dei flussi migratori e sulla salvaguardia delle persone in pericolo in mare, la dimensione del servizio di ricerca e soccorso (Search and Rescue, SAR), resta materia riservata alle competenze dei singoli Stati secondo gli strumenti internazionali vigenti come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM, 1982), ratificata anche da Australia e Indonesia; la Convenzione sulla salvaguardia della vita in mare (SOLAS, 1965), la Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR, 1979) e la Convenzione sul soccorso in mare (1989).
Sta dunque ai due Paesi trovare un’intesa tutelando il reciproco interesse istituzionale, salvaguardando i rapporti diplomatici e, soprattutto, le vite umane.
* Vincenza Lofino è Dottoressa in Lingue moderne per la Comunicazione Internazionale – indirizzo Economico (Università del Salento)
[1] Secondo l’Australian Nationality Law i cosiddetti “unlawful non-citizens” sono quegli individui che vivono in Australia o sono residenti permanenti; residenti temporanei; o soggiornano illegalmente. Per un maggiore approfondimento sul tema si veda, http://www.immi.gov.au/media/fact-sheets/86overstayers-and-other-unlawful-non-citizens.htm
Photo credits: BBC
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