Il brand richiede coraggio

Creato il 24 giugno 2014 da Marcofre

Il brand, almeno nell’accezione che spesso si usa, ha il difetto di essere considerato come una “cosa”, almeno un’etichetta grazie alla quale si viene identificati.

È un aspetto che tuttavia mostra un grave limite, poiché in realtà ha a che fare non con concetti, bensì con una persona. E quella persona sei tu. E fino a quando non ti entra nella testa che non si tratta affatto di qualcosa di esterno a te, ma che nasce, cresce con te, e ti distingue e ti rende unico, vorrà dire che non sei ancora convinto della sua inevitabilità.

Qual è l’autore che preferisci? Ecco, quello lì: e quando senti il suo nome, all’istante ti si drizzano le orecchie. Magari corri in libreria e prenoti il suo libro che uscirà tra una settimana, oppure un mese. E per quale ragione ti comporti in questa maniera? Esatto: è un brand che conosci e riconosci, nel quale riponi fiducia.

Che poi costui o costei ignori tutto questo ci può stare. Risponde all’esigenza di fornire di chi scrive, l’immagine di un essere che cala dal cielo, o parla con le Muse e non si occupa di cose tanto materiali. Però sto divagando.

Come sempre, il solito consiglio: evita di imitare.
Al massimo puoi ispirarti, perché se cerchi di ripetere pedissequamente quello che altri fanno, probabilmente non caverai un ragno dal buco, e così potrai ripeterti che è tutta fuffa, tutto un bla bla bla, e alla fine di questi discorsi ti ritirerai, sdegnoso, in un angolo convinto di essere vittima del G.P. (Grande Complotto).

Che la fuffa esiste è una realtà, ma è anche una realtà che il self-publishing è qui, lo hai scelto (o lo stai per fare), e attendere che “si venda da sé” è un’illusione. Certo, le illusioni si avverano, a volte, così come a volte qualcuno entra dal tabacchino, compra un Gratta e Vinci, e intasca 3 milioni di Euro. E noi, all’istante, ci licenziamo per tentare la fortuna, vero?
Ah, no?

Una certa timidezza a proposito del brand, nasce dal dubbio su quello che si sta facendo. Non si è davvero convinti che una certa storia abbia quelle qualità che dovrebbe avere. Qui non posso certo essere di aiuto.
Se tu per primo non ne sei convinto, come posso dire qualcosa? Una buona dose di dubbio inoltre, è salutare. Spesso, è puro autolesionismo. Esiste un altro difetto grave che colpisce l’esordiente, e si chiama presunzione.

La certezza di aver scritto un capolavoro; la convinzione che “si venderà da sé”; che già centinaia di lettori lo hanno decretato una grande opera… Non si tratta di esagerazioni bensì di realtà. Il 90% degli esordienti ragiona in questa maniera. Per smascherarli chiedi loro di Conrad, Dostoevskij, Camus o Zola, e li vedrai battere in ritirata.

Occorre avere la consapevolezza di aver scritto, nonostante i propri limiti, una storia onesta. Non deve essere perfetta, sublime, e altre sciocchezze del genere. Le prime opere di tanti autori che sono poi diventati dei classici non lasciavano presagire che cosa sarebbero diventati. All’inizio, tutti scrivono; poi diventano Tolstoj. Dickens. Simenon.

Perché il brand non è fisso, immutabile. Cresce, come dovrebbe fare la tua scrittura.


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