di Marcello Madau (*)
(Oggi per me è una giornata di forte contatto con la mia archeologia. Di ritorno da Olmedo, ho ritrovato un molto vecchio articolo, pubblicato in una lontana estate della ‘Nuova’. Mi fa piacere proporvelo e la storia che un carissimo collega e amico mi raccontò mi diverte ancora moltissimo, e la trovo anche molto tenera. Identità).
Le launeddas sono tra i più antichi e straordinari strumenti musicali del mediterraneo. Rappresentano la testimonianza più vivida del patrimonio strumentale della tradizione sarda.
Ma non tutti sono a conoscenza che esiste in Sardegna una bella ed antichissima documentazione di questo strumento: si trova nel Museo Nazionale di Cagliari ed è il noto “Bronzetto itifallico” proveniente da Ittiri. Ritenuto di fattura nuragica (anche se molte riserve sembrano possibili) mostra un suonatore di triplice flauto che si distingue, oltreché per lo strumento musicale, per un vistoso fallo eretto.
Il bronzetto sembra collocabile fra il VII ed il VI secolo a.C. è dotato di una fortissima carica simbolica che si gioca nel rapporto evidentemente stretto fra musica e sessualità. La musica produce eccitazione e l’eccitazione è uno stato di grazia che favorisce la fertilità e la prosperità del gruppo sociale. L’immagine potrebbe essere captata da una festa, forse nei pressi di un pozzo sacro (ma questo non lo sapremo mai).
Si racconta piuttosto che il bronzetto, ritrovato agli inizi del secolo nelle campagne di Ittiri, fu nascosto in casa da una pia donnina e rivestito con un apposito slip prima dell’arrivo del parroco, opportunamente avvertito:
“Caminade a bennere proitte appo agattadu unu santuzzu maleducadu/Venite in fretta, ché ho trovato un santino maleducato”.
Non è da escludere che il piccolo slip creasse un effetto ancora più “scandaloso”.
Così questo bellissimo bronzetto è prezioso per diverse ragioni: per l’arte antica, per la storia della musica, per gli squarci sul rituale e la festa, e anche per la storiella che abbiamo riportato.
Se pensiamo all’antico “libertino” paganesimo delle popolazioni sarde e ai mutandoni che fecero ricoprire i personaggi dipinti da Michelangelo nel Giudizio Universale, ci rendiamo conto che Gramsci non sbagliava scrivendo che la cultura popolare assume non di rado i valori e le manifestazioni delle classi dominanti.
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(*) Marcello Madau è un archeologo ed è Professore all’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari.