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Non so quanti abbiano consapevolezza del cambiamento decisivo in atto nel nostro Paese. Il passaggio epocale che stiamo vivendo si sostanzia nell'insieme delle riforme renziane: l'Italicum e le modifiche costituzionali, lo Sblocca Italia, il Jobs Act, la Buona Scuola, le privatizzazioni di ciò che resta dell'economia pubblica in particolare nei servizi pubblici locali, la pubblica amministrazione, l'ulteriore e insostenibile riduzione di risorse destinate al welfare. Si aggiungano lo shopping di importantissime fette dell'industria nazionale da parte di investitori esteri ed il TTIP. Il renzismo completa così la trasformazione dell’Italia da Repubblica fondata (almeno idealmente) sul lavoro in Regime fondato (anche sul piano delle sovrastrutture giuridiche) sul profitto. Il risultato è una società gerarchizzata e autoritaria, fondata sulla competizione selvaggia di tutti contro tutti e sull'esclusione dei più deboli, senza garanzie e diritti per nessuno ed un'economia totalmente colonizzata e dipendente dal capitale sovranazionale.
Non si tratta di attribuire un ruolo storico, ancorché funesto, a Renzi e di sopravvalutarne il contributo individuale. Si tratta di riconoscere che siamo arrivati anche in Italia al culmine di un processo storico che ha trasformato progressivamente le società del welfare e della socialdemocrazia del trentennio glorioso, sviluppatesi nel secondo dopoguerra, nelle società e nell'economia del finanzcapitalismo. Renzi sta semplicemente completando in modo brutale e definitivo il lavoro preparato dai suoi predecessori. Se il centrosinistra procedeva nel percorso verso il liberismo con un gradualismo intollerabile per i poteri porti, se Berlusconi veniva contrastato in quanto faceva saltare gli equilibri interni dell'establishment economico di cui egli stesso era parte, se a Monti e Letta mancava il “quid” per potersi garantire un sufficiente consenso elettorale, Renzi ha messo a disposizione del “sistema” - con un'arroganza ed una protervia direttamente proporzionali al fatto di essere l'Unto dei poteri forti e dunque sostenuto dalla quasi totalità dei media – il suo essere una macchina da guerra di propaganda politica. E questo con un'opposizione – sul piano istituzionale, sociale, culturale – debolissima o inesistente, progressivamente annientata dalle trasformazioni sociali eredità del passato e contemporaneamente per colpa degli errori della Sinistra. Se il precariato è stato spacciato per anni come una condizione provvisoria e temporanea, oggi diventa la condizione esistenziale di tutti i cittadini, giovani e vecchi. Non vi sono solo gli esclusi e i poveri (quelli che qualcuno ipocritamente, come Il Sole 24 Ore, definisce outsider riportando stime che li valutano in almeno 9 milioni di individui), anche quel sostanziale benessere e quella sostanziale stabilità di cui hanno potuto godere una consistente fetta di italiani e che ancora in qualche modo permangono sono destinati ad essere travolti. Si è partiti dal precariato, dall'esternalizzazione – nel pubblico e nel privato – dei servizi e di parte delle attività produttive, dallo smantellamento delle partecipazioni statali e dalla privatizzazione delle aziende pubbliche; il piccolo commercio è stato distrutto dalla grande distribuzione e da internet, la piccola impresa dalla concorrenza del sud-est asiatico; la tassazione sulla casa ha fatto crollare i risparmi investiti nel mercato immobiliare; l'impossibilità di accedere a servizi pubblici efficienti e di qualità ha contribuito ad erodere il potere di acquisto di tutti i cittadini. Ora è arrivato il momento dei dipendenti pubblici e dei lavoratori “stabili” delle aziende private. In nome del miraggio del merito e delle opportunità, falsi valori e condizioni inattuate nella realtà, si sono impoveriti e si continuano ad impoverire gli italiani. La criminale riduzione delle risorse destinate al sistema pensionistico, sanitario, scolastico ha reso gli italiani più insicuri e peggiorato la qualità della vita di tutti. Tutto ciò necessariamente accompagnato dalla criminalizzazione del dissenso (quando non è sufficiente l'opera di demolizione da parte dei media) e dalla cancellazione del pluralismo politico e istituzionale. A quella minoranza di cittadini che sostengono il regime andrebbe fatto capire che oggi fanno ancora parte dei “salvati” ma che domani essi stessi potranno entrare nella massa dei “sommersi”.
La domanda da porsi dunque è quella di sempre: CHE FARE di fronte ad un passaggio che ha i caratteri brutali dell’instaurazione di un nuovo regime e che non ammette margini per mediazioni, per successi parziali, per spazi di conservazione di diritti fondamentali? Si guardi ad esempio quanto sta succedendo nella scuola: pure in presenza di una protesta di massa di insegnanti, tecnici, studenti, famiglie contro la riforma renziana il governo va avanti a testa bassa per la propria strada. In queste condizioni – il prevalere selvaggio dell'egoismo individuale, i mezzi a disposizione del potere dominante (l'uso della comunicazione di massa per manipolare l'opinione pubblica, la leva delle politiche fiscali e di bilancio, il voto di scambio) - serve ripensare profondamente le strategie e le tattiche di lotta e di resistenza, oltre e al di là delle contese elettorali. E' necessario assumere un linguaggio ed una capacità di proposta che abbiano un carattere populista e radicale per riconquistare il centro della scena politica e rimettersi in sintonia con la testa e la pancia delle persone.
Poiché le rivoluzioni nascono anche dal linguaggio mi piacerebbe che a Sinistra si smettesse almeno di usare il verbo vincere quando si parla di elezioni. La contesa elettorale è nelle cosiddette democrazie occidentali un gioco manifestamente truccato. E' truccato nella formazione del consenso, è truccato nei meccanismi che definiscono gli eletti che vanno ad occupare le istituzioni pubbliche. Di fatto oggi i governi al potere sono stati scelti da una minoranza di cittadini (il 20-25 per cento, nei casi migliori il 30 per cento) che diventano maggioranze parlamentari attraverso truffaldini premi di maggioranza e sistemi elettorali. Se si va oltre i titoli ad otto colonne dei giornali, ad esempio al “trionfo” dei conservatori in Inghilterra in realtà ha corrisposto una diminuzione della percentuale di voti raccolti. Addirittura è successo che si assuma la premiership o la carica di Presidente della Repubblica, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, pur avendo ricevuto meno voti popolari dell'avversario. A queste minoranze andrebbe attribuita razionalmente la gestione dell'ordinaria amministrazione ma mai la legittimazione di definire i principi fondamentali attraverso cui si organizza la vita collettiva di un popolo. In tale contesto elaborare analisi limitate all'ambito del voto o, peggio, dare credito a chi si definisce “la Sinistra che vince” è come se all'epoca della Juventus di Moggi e Giraudo se ne fossero voluti spiegare gli scudetti esclusivamente sul piano tecnico-calcistico.
Questa Sinistra italiana che ha il primato mondiale nella produzione di appelli, manifesti, petizioni (ad alcuni di questi, lo confessiamo, ha contribuito anche chi qui scrive), tutti immancabilmente accompagnati dalle grida ultimative del “non c'è più tempo” e del “se non ora quando?”, quasi tutti in larga misura accettabili e condivisibili ma inesorabilmente condannati ad una diffusione di nicchia, è necessario che si ponga come prioritario il problema di come si riesce a mobilitare le masse popolari. E da questo punto di vista diventa indispensabile almeno unire e organizzare le forze, debolissime se prese singolarmente ma significative se decidessero di fondersi tra loro, di tutti coloro che vogliono costruire un’altra Società ed un altro sistema economico basati su uguaglianza e solidarietà. Considerate le ambiguità e i ritardi dei vari pezzetti della sinistra radicale, non si può dunque non guardare come all'unica speranza a cui potersi oggi aggrappare, con tutti i limiti e con tutti i difetti che si possono imputare alla proposta di Maurizio Landini, al progetto di coalizione sociale: qui non c'è un discorso per iniziati e per vecchi attivisti ma un progetto fondato sui numeri di organizzazioni sociali vere e sulla capacità di parlare alle persone semplici.
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