Avete mai giocato a “se fosse un fiore?”
Si pensa per metafora, raccogliendo in un figlio dei prati e dei giardini, dai più semplici ai più sofisticati, le qualità di un essere umano. Ci giocavo insieme ai compagni della giovinezza. Me, mi rappresentavano nella violetta. Il bello è che la mammola è il mio fiore preferito. Da bambina inventai un dialogo tra questo fiore e un ruscello sugli argini del quale era spuntato.
Occhieggia timida la mammola molto prima del tripudio di primavera.
È piccina e ride col suo cuoricino di sole tra il verde scuro delle foglie a cuore.
In un marzo lontano, tirai per la mano il mio grande e teneramente austero papà, perché mi accompagnasse giù per la scarpata fino alle umide sponde dell'Ombrone, in cerca di violette.
Negli amati scenari delle mie fiabe avevo appreso che lungo i corsi d'acqua spuntano in abbondanza le violette.
Non me lo disse mai, ma di certo papà fu ripagato dal mio esultante battimani, quando scorsi la prima mammola. Quel giorno me ne tornai a casa presa dall'incanto del mazzolino che avevo composto.
La mia infanzia è un prato fiorito. I ricordi di quel tempo sono forme delicate di colori profumati. Si raccolgono nelle storie della maestra. Ada Cappelli confidava nei racconti gentili, anche quando ci invitava ad eseguire il dettato o a compitare per l'ortografia. Esercizi mai disgiunti dal potente immaginare. È per questo, forse, che quei tempi sono “idilli”, paesaggi dell'anima, sfumati ma tanto potenti nel sorreggere le speranze ancora oggi, in questo tempo che confina col gelido e muto inverno.
Mi ricordo proprio ora della storia del “bucaneve” . Sebbene non lo abbia mai visto nella realtà, ne vagheggio, sorridente, il calice candido che sbocciò sulla candida coltre affinché Maria lo riempisse dell'acqua del disgelo per dissetare Gesù.
In seguito alle ricerche sul cervello del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, sono stati individuati dei neuroni speciali, i “neuroni specchio”, responsabili della nostra capacità di empatia (Rizzolatti-Sinigallia, So quel che fai, Raffaello Cortina). È stato osservato, grazie alla tecnica del Brain imaging, che questi neuroni si attivano non solo quando viviamo un'emozione o compiamo un'azione, ma anche quando vediamo un altro “emozionarsi”, “sentire” o “fare” qualcosa. Nella “natura” animata sono iscritte, pertanto, la predisposizione a vedere e sentire l'altro e la inclinazione a “conoscere” mentre siamo in relazione con gli altri. Ma la natura va coltivata, dentro e fuori di noi. Ciascuno di noi è responsabile dell'altro, quindi. E con “l'altro” non si intende unicamente un essere umano. La sensibilità, come un fiore, chiede cura per sbocciare e ingentilirsi per ingentilire. Ovunque si posi, il nostro sguardo suscita una reazione influenzata dalla nostra disposizione. È inutile attribuire tutta ad altri la responsabilità della volgarità che ci circonda. “So quel che fai”, sembra che ci dicano tutte le “cose” intorno a noi. E ce lo dicono soprattutto i giovani. La maestra Ada Cappelli, in quel tempo ormai lontano, non poteva sapere dei “neuroni specchio”, ma, naturalmente, sapeva che “portare i bambini in giardino” era il modo migliore per educarli alla gentilezza. Era un giardino di storie, come quella del bucaneve, che annuncia il disgelo e il fiorire delle violette. Quando ripenso a quel tempo, mi sembra incantato in una magica armonia. Sobrietà, fermezza e gentilezza adornavano il fare e il dire di quei consapevoli educatori. E i giovani vivevano quella sapienza! Ecco, è questo l'auspicio: che possiamo divenire consapevoli che la natura, dentro e fuori di noi, richiede “cura”, ovvero “cultura”!
Che spuntino sulle lande gelate i bucaneve ad annunciare il disgelo!
“Per fare tutto ci vuole un fiore!”