[...] "Immagino sia il mio amico speciale. Tutto qui." Soapie si appoggia allo schienale e si fissa le unghie. "Questa definizione ha il giusto tocco di gioia di vivere, credo. A proposito, in caso tu non l'abbia capito, era questo che non funzionava tra te e Jonathan".
"Il fatto che non lo chiamassi il mio amico speciale?"
"No. Che con lui non avessi nemmeno un pò di gioia di vivere".
"Perchè non sono cieca, Rosie. Dalla vita tu vuoi di più di quanto abbia mai potuto offrirti lui. é un bravo ragazzo, ma è limitato. Penosamente limitato".
"Be, da certi punti di vista forse.. ma tutti abbiamo.."
"No. Pensa alla questione delle tazze e capirai tutto quello che c'è da sapere su di lui. é un uomo arido. Senza brio. Sterile come un deserto. Ora che hai chiuso con lui, posso dirti la verità. Non ho mai capito cosa ci trovassi in lui. Pensavo ti fossi accontentata."
"Dai, è simpatico" protesta Rosie. "Quasi sempre. Qualche volta"
Soapie sospira ed accende una sigaretta. "Oh-ho, ora ritieni di doverlo difendere. Sto solo dicendo che secondo me non è l'amore della tua vita"
"Non sapevo che tu credessi nell'amore della vita".
"Non sono sicura di crederci. Ma tu si. E stai meglio senza di lui. Anche oggi, con quei capelli conciati in quel modo. Se andassi dal parrucchiere, mangiassi cibo decente e comprassi vestiti passabili, potresti iniziare a divertirti, e allora sì che vedresti quanto può essere interessante la vita. Concediti un pò di gioia di vivere. Potresti avere delle avventure". [...]
Sto leggendo un libro, in questi giorni.
Si chiama " Non c'è niente che non va, almeno credo": racconta la storia di una donna di mezza età, alle prese con una vita che non è possibile definire come tale, fatta di rassicurante monotonia e lontana da quella gioia di vivere che, a prescindere da tutto, non sa nemmeno cosa sia.
C'è un trafiletto, quello che ho riportato all'inizio di questo post, che mi ha portato a riflettere su qualcosa a cui non ero troppo avvezza a pensare, la gioia di vivere. La scena è questa: nonna e nipote parlano dell'allontanamento di quest'ultima dal fidanzato storico, Jonathan. La nonna, schietta e vulcanica, arriva subito al sodo: la nipote, invece, cerca ancora qualche motivo per difendere una situazione a dir poco indifendibile.
Gli avvenimenti di questi giorni, inoltre, mi hanno spinto ad uscire dalla soglia della mia privacy e scrivere questo post: una goccia nell'oceano, senza ombra di dubbio. Ma cos'è l'oceano se non una somma di piccola gocce?
Quest'estate, per motivi di cui preferisco non parlare, ho vissuto il mio momento di totale assenza di gioia di vivere. Aprivo gli occhi al mattino e li richiudevo immediatamente: sognare una vita perfetta era di gran lunga più rassicurante del vivere la mia vita tutt'altro che perfetta. Dormivo spesso perché, dormendo non pensavo. Dormendo non dovevo giustificarmi con nessuno di tutto ciò che la mia testa, la mia stupida e limitata testa, considerava un fallimento. Ebbene si, a 25 anni, e questo è davvero imbarazzante ma totalmente vero, non riuscivo a capire che un cambiamento era soltanto un cambiamento. Non la fine del mondo. Uscivo, questo si, e mi chiedevo perché ogni persona incontrassi era felice: ed io no. Vegetavo incapace di fare nulla che non fosse punirmi, mangiando troppo, pensando troppo, colpevolizzandomi troppo, avendo troppa, troppa stupidissima paura di fare qualsiasi cosa e sbagliare di nuovo.
La consapevolezza del circolo distruttivo in cui mi ero rintanata, la vera e propria sveglia che ti costringe ad aprire gli occhi, per quanto - dopo un pò - ti rendi conto che ti abitui ad ogni situazione, è arrivata nel momento in cui sono stata fisicamente male. Nulla di catastrofico, ma una forte influenza che mi ha costretto (questa volta, con la ragione) nel mio letto per qualche giorno. A tutto ciò, si è aggiunta una settimana di totale mancanza di voce.
Stare a casa e non poter uscire mi ha fatto capire che io volevo disperatamente uscire. Le quattro mura del mio appartamento erano troppo, troppo strette. Avevo bisogno di vedere che, al mondo, esisteva qualcun altro al di fuori di me. Che quel periodo di bassa, seguito da qualche alto e basso che mi faceva terribilmente innervosire (perché io volevo soltanto alti, non questa molla che andava su e giù, su e giù), era nulla se paragonato alla grandezza di un mondo che, a prescindere da tutto, è bellissimo. Per i suoi colori, per la natura che lo abita, per l'infinita mole di possibilità che se ne stanno nascoste, da qualche parte e che solo cercandole puoi trovare.
Ho capito che non avere la voce era l'ultimo grido del mio corpo che mi implorava di smettere di giustificarmi: perché ogni scelta, soprattutto le più sofferte come quelle che ero stata costretta a prendere, partono da qualcosa che si rompe dentro ognuno di noi. E nessuno, nessuno può capire: parlare, quindi, è soltanto una perdita di tempo. Comunicare, invece, che è molto ma molto diverso dal mettere su un disco e ripeterlo all'infinito, è l'unica cosa per cui la voce serve davvero: per trasmettere affetto, per trasmettere un dubbio, per infondere coraggio, per raccontare una storia.
Ho capito, soprattutto, che la gioia di vivere non arriva a chi l'aspetta. Arriva a chi si spinge verso di lei, a chi la cerca. Arriva a chi non si arrende al dolore ed accetta il fatto che il mondo e la vita, sono governati dal tempo, stagioni che si susseguono, iniziano e finiscono. Quando cadi devi per forza di cose risalire: quando inizi ad accettare che sei un essere umano e, come tale, puoi anche fallire, ecco che il mondo ti si apre davanti agli occhi. Hai la dannata possibilità di iniziare daccapo. Una nuova vita, una nuova parentesi, una nuova stagione. Non esiste dolore che duri in eterno, non esiste sofferenza troppo forte da non poter essere superata.
Se soltanto si riesce ad abbandonare la propria meschina individualità, quel quid che ci spinge a chiuderci a riccio contro un mondo che sì, è vero, può fare del male, abbracciando qualcosa di molto più ampio, l'essere portatori di un messaggio di condivisione, di fiducia, e di speranza! Allora si, allora si che la gioia di vivere arriverebbe a tutti. Perchè avremmo fatto qualcosa di giusto, qualcosa che travalica i confini del nostro io per inondare il mondo intero.
A distanza di qualche mese, posso dire di non aver risolto ogni singolo problema capace di affliggermi. Ma posso assicurarvi di avere ora la forza giusta per accettare il cambiamento ed affrontare le situazioni che troverò sul mio cammino.
Ognuno ha una strada, un compito da assolvere: trovarla non è sempre semplice, ma è tutto fuorché impossibile. Basta soltanto tenere duro. Fino a quando il destino ce ne da la possibilità.
Vorrei dedicare questo post a tutte le persone che hanno perso la speranza. A quelle che hanno spezzato la propria esistenza. A quelle che pensano di farlo, ed alle persone che cercano disperatamente di tenere duro. A tutti quegli adolescenti che non riescono a capire che soffrire aiuta a crescere, a rendere più forti. A tutti quegli adolescenti che non riescono a capire che far soffrire il prossimo, ti rende soltanto una persona sterile, arida nell'incapacità di dare gioia, di essere la gioia stessa.
Se c'è una cosa che accomuna ogni singolo essere umano è la sofferenza. Non siete soli, non sta capitando soltanto a voi. Ma, soprattutto, il dolore che state provando, la delusione, il cambiamento in atto, per quanto fastidioso, un giorno cesserà di farvi del male.
A quel punto.. chi sarà più capace di fermarvi? Chi potrà contenere la forza creatrice che sprigionerete, la vitalità che esploderà dentro di voi?
Abbiate fiducia e non arrendetevi al buio. La luce è più vicina di quanto possa sembrare.
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