Anna Lombroso per il Simplicissimus
Proprio ieri ho passato un calda giornata in una città del Mezzogiorno teatro di un fortunato “bestseller” sulle sue sfortune, che ha avuto il merito di far salire in superficie segreti poco misteriosi dei quali tutti erano a conoscenza, ma che era preferibile non dire come per un’abbietta carità di patria di quelle che diventano complicità, collusione, corruzione, infamia. A volte certe città diventano stereotipi se non addirittura degli spot iperrealisti della retorica o semplicemente delle condizioni di un territorio: casette abusive che sembrano costruzioni affastellate per accogliere terremotati, costruzioni mai finite e già cadenti, palazzine liberty come fantasmi di trascorse bellezze con i bei poggioli sinuosi stipati di vecchi elettrodomestici arrugginiti o di parabole giganti, la strada che porta al prestigioso monumento quasi pulite ma intorno invece abbandono, sfacciato, esemplare. Una volta si sarebbe detto pubblica miseria con la quale contrasta una opulenza privata che qui non c’è più, se non per rari macchinoni che circolano esuberanti e strombettanti carichi di qualche guappo di risulta molto aggressivo.
Qui intorno alla città negli anni ’60 era cresciuti un sito industriale che aveva esercitato una grande attrattiva sugli investitori stranieri, si erano localizzate imprese multinazionali, la Campania felix era stata spinta più in là da grandi e potenti insediamenti. Ma non era stato spinto via un sistema borbonico, un ceto dirigente inadeguato e conservatore, populista e autoritario, demagogico e privatistico. Si deve ad esso il fallimento dello sforzo di rompere la separatezza tra nord e sud in nome di uno sviluppo armonico e equilibrato. Il Mezzogiorno fu investito da grandi opere: bonifiche, dighe, acquedotti, autostrade, reti stradali che ne mutavano il volto rompendo l’isolamento, attivando energie, non tutte positive ma vitali. Aggiungendo a questa azioni muscolari, il proposito di creare un sistema di incentivazione diretta di iniziative industriali, anche creando una rete creditizia speciale. Ma fu proprio in questa seconda fase che si concretizzarono le patologie di finanziamenti dispersivi e sterili, quel flusso.
di trasferimenti più o meno occulti come fiumi carsici che alimentavano redditi, consumi, rivoli di clientelismo e corruzione, ma non promuovevano investimenti capaci di attivare processi di sviluppo autonomo e diventavano funzionali a qualcosa di tremendamente perverso, una condanna alla subalternità e all’emarginazione alleviata dall’assistenzialismo e delle elargizioni clientelari.
Le risorse trasferite al Sud non erano lo strumento di una grande opera di sviluppo economico ma diventavano la base di potere di una classe politica incompetente e avida, le cui dinamiche di potere hanno provocato una balcanizzazione dei partiti dominanti, creando un blocco gerarchico-burocratico, la cui funzione sociale si è puramente limitata alla gestione dei flussi finanziari secondo regole che Weber definirebbe di acquisività politica. E’ quello il prezzo che i governi nazionali hanno pagato in cambio dei voti. Un prezzo altissimo se ha prodotto e consolidato l’orrendo guasto di rideterminare le condizioni della separatezza, l’incremento delle disuguaglianze, alimentando la frattura tra la rivolta del nord e la deriva criminale del sud.
All’origine della prima la crescente consapevolezza che il trasferimento di risorse non serviva affatto a ridurre la dipendenza del Sud: non è accettabile, scriveva con prosa lussureggiante quel geniale storico innamorato del mezzogiorno che è stato Cafagna, che il foraggio destinato all’allevamento di cavalli di razza, venga versato direttamente a ratti, pantegane e zoccole che poi si mangiano anche i cavalli. La seconda è più drammatica, è l’accelerazione della consegna del Sud al controllo delle mafie, anticipatrice dello sviluppo della globalizzazione criminale cui assistiamo oggi. La classe politica locale ha stretto robusti rapporti collusivi con le organizzazioni criminali, spartiscono con esse i finanziamenti aprono loro il sistema di appalti, in una complicità che ha superato il carattere di un compromesso tra poteri distinti, configurando un amalgama velenoso e contagioso. Spolpato il Sud, dopo aver inquinatole amministrazioni e il sistema imprenditoriale e economico, è iniziata la nazionalizzazione e l’internazionalizzazione delle mafie.
E’ così che siamo diventati in Mezzogiorno d’Europa. Lo siamo già e farebbe sorridere la preoccupazione dello stesso governo che vuole da un lato concludere rapidamente l’opera di consegna alla congrega vessatoria e autoritaria della cupola liberista, ma che rivendica che l’Italia non è una colonia. Farebbe sorridere se non suonasse oltraggiosa. Come suona avvilente e offensiva l’elargizione di risorse europee per una specie di operazione di bonaria beneficenza, un cerotto – che ben venga per carità – sulla piaga del malessere sociale, quello dei suicidi in crescita, della disperazione e dell’affidamento quasi inevitabile alla malavita di una generazione.
È superfluo ricordare la fallimentare conduzione dei fondi comunitari: la Corte dei Conti denuncia l’«eccessiva frammentazione degli interventi programmati e la notevolissima presenza di progetti non conclusi, pari al 35 per cento della spesa certificata», che «hanno sfavorevolmente inciso sullo sviluppo locale e non hanno prodotto l’auspicato miglioramento delle condizioni di vita della popolazione». Non bastasse, i ricambi ai vertici delle strutture regionali seguiti alle vicende politiche, «hanno di fatto rallentato la spesa compromettendo l’efficacia del programma regionale» mentre il livello molto elevato di errori e irregolarità «denota la carenza dei controlli e una generale scarsa affidabilità degli stessi».
Le compassionevoli elargizioni per anziani, bambini, sommersi sono doverosi, ma non incino sulla patologie che si guariscono solo con quella crescita che il governo continua a rinviare occupato a ungere con i tagli le ruote della macchina di sopraffazione ormai avviata. E un affronto per chi plasmato dai valori di eguaglianza, libertà, solidarietà, pensa che il riscatto possa venire da lavoro decoroso, da servizi efficienti, da beni comuni tutelati e accessibili a tutti, da sapere e conoscenza, da cura per la cultura e il paesaggio, da salvaguardia di quella bellezza sempre più minacciata da una rapace smania inguaribile di potere e sopraffazione che ci ha precipitati nell’Italia infelix.