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Alcune settimane fa, all’Ospedale «Sant’Orsola» di Bologna, sono nate due gemelline affette da toracopagia. Si tratta di una di quelle malformazioni fetali che in passato erano definite “mostruosità doppie simmetriche” e alle quali oggi si dà il nome di diplopagie (craniopagia, ischiopagia, pigopagia, ecc.), patologie esclusive della gravidanza bigemellare monoamniotica monocoriale (1:65-70.000), con la fusione simmetrica di due feti omozigoti lungo tratti anatomici variabili per sede e ampiezza, con la pressoché costante fusione di uno o più organi interni, il che rende spesso assai problematica, talvolta materialmente impossibile, la separazione chirurgica con esito felice per entrambi i neonati. Nel linguaggio corrente si parla di “gemelli siamesi” e nel caso del «Sant’Orsola» si tratta di due bambine nate premature, simmetricamente fuse sulla faccia ventrale per gran parte del tratto toracico e parte dell’addome, con la fusione dei due fegati e un solo cuore in comune, peraltro severamente malformato. Sono ancora oggetto di studio, che in questi casi mette spesso a dura prova la diagnostica , ma da quasi subito, in questo caso, è apparso chiaro che le due sorelline hanno scarse possibilità di sopravvivenza se lasciate nella condizione che il buon Dio ha deciso per loro. D’altra parte, per quell’unico cuore che ora hanno in comune, separarle significherebbe sacrificarne una, ma solo con un 20% di possibilità che l’altra sopravviva.È evidente che all’enormità dei problemi che si pongono sul piano tecnico si sovrapponga un problema d’ordine morale che almeno in apparenza è di una complessità addirittura maggiore di quella che il caso offre allo staff chirurgico. Se infatti, per ipotesi, le possibilità di salvare una delle due sorelline fosse del 100%, il problema bioetico sarebbe già grosso: per salvare una vita si dovrebbe sacrificarne un’altra e la scelta sarebbe ovviamente in favore del soggetto più forte a scapito di quello più debole. Questo sarebbe moralmente accettabile? Secondo alcuni, sì. Per altri, invece, nessuna scelta moralmente illecita è giustificata da un buon fine, quand’anche questo sia sicuramente raggiungibile scegliendo il male minore (uccidere un neonato) a fronte di un male maggiore (lasciare che ne muoiano due). Altrettanto grosso sarebbe il problema – e siamo ancora nel campo delle ipotesi – se ci trovassimo di fronte a due “gemelli siamesi” che avessero possibilità di sopravvivere per lungo tempo, se lasciati fusi, ma uno o entrambi corressero il serio rischio di morire affrontando un intervento di separazione, laddove questo fosse tecnicamente possibile. Qui la questione si porrebbe in questi termini: una previsione circa la qualità della loro vita, se lasciati uniti, ci autorizzerebbe sul piano morale, quand’anche fossimo i loro genitori, a decidere di sacrificarne uno (o eventualmente entrambi) sulla base di un giudizio di valore della vita umana tutto calibrato sulla sua qualità? Secondo alcuni, sì. Per altri, invece, la vita è sacra sempre e in questo caso imporrebbe di lasciare uniti i “siamesi”.Nel caso del «Sant’Orsola», la questione è in apparenza più semplice ma anche, e insieme, maledettamente più difficile. Siamo di fronte a due sorelline che, lasciate unite, hanno poca possibilità di sopravvivere. Poca, sì, ma chi può escludere un miracolo dello stesso buon Dio che le ha volute unite? Contro ogni previsione, se lasciate nelle condizioni in cui sono venute alla luce, potrebbero sopravvivere: separarle, peraltro seguendo il principio del male minore, si rivelerebbe doppiamente immorale (a priori ed eventualmente a posteriori). Decidendo di separarle, al contrario, una sicuramente morirebbe e anzi potrebbero morire entrambe. I medici sostengono che comunque morirebbero entrambe, se lasciate unite, ma con una percentuale così bassa di salvarne solo una e una percentuale così alta di ammazzarle entrambe, è lecito decidere di separarle, ammesso sia possibile, preferendo così escludere un miracoloso intervento del buon Dio? Ecco, dunque, che un caso in apparenza semplificato dalla drammatica cogenza dell’agire sul non agire, se operando in virtù del principio del male minore e della speranza negli strumenti della scienza, diventa mostruosamente complicato volendo rigettare la logica utilitaristica del male minore e la fede nel superiore disegno del buon Dio, ancorché oscuro alla ragione umana.
“Giordano Bruno Guerri, nel suo articolo sul doloroso caso delle sorelline siamesi (il Giornale, 20.7.2011), si augura che a scegliere siano i genitori. Ma i genitori delle gemelle nate con un cuore in comune hanno già scelto: lo hanno fatto quando hanno saputo della loro drammatica condizione, ed hanno deciso continuare la gravidanza e farle venire al mondo così come erano, pur nell’angoscia e nella sofferenza che accompagna sempre la nascita di bambini gravemente disabili”. Così scrive Eugenia Roccella (il Giornale, 21.7.2011), la quale però non può avere piena chiarezza sulle ragioni che hanno spinto i genitori a scegliere di portare avanti la gravidanza: può darsi, per esempio, che sperassero di poter salvare una delle due bambine sacrificando l’altra. In tal caso, almeno in parte, potrebbero essere stati guidati da una logica utilitaristica. È dunque scorretto affermare che “questa libera decisione dei genitori [sia univocamente valida] ad indicare ai medici la via da seguire: la vita per le loro figlie, il meglio per le loro figlie”. La logica che li ha guidati a tale scelta potrebbe essere comunque eugenetica: salvare la figlia più forte, rinunciando a quella più debole. Le conclusioni di Eugenia Roccella appaiono dunque infondate: “Sarebbe ingiusto nei confronti di quei genitori coraggiosi, e di quei medici che li stanno aiutando, affrontare questa storia come una decisione sulla vita e la morte, una decisione di cui ci si deve assumere la responsabilità, decretando: «tu sì, tu no»”. Al contrario, la questione potrebbe dover essere posta proprio in questi termini, e per precisa volontà dei genitori, addirittura antecedente alla nascita delle gemelline, addirittura contestuale alla decisione di farle nascere. Giordano Bruno Guerri avrebbe, dunque, espresso un parere assai più ragionevole, proprio perché più rispettoso della libertà d’opzione dei genitori.Ma la posizione di Eugenia Roccella è zoppa anche sul piano della morale cattolica. Infatti scrive: “Se, come sembra di capire, le due bambine insieme non riuscirebbero a sopravvivere, allora l’eventuale intervento di separazione servirà ad aiutare almeno una a vivere, nel tentativo di evitare una doppia morte. Non sarà, quindi, la scelta di far morire una e di far vivere l’altra, ma il tentativo di salvare almeno una persona da morte certa”. Siamo comunque dinanzi alla scelta del male minore, moralmente inaccettabile per la dottrina cattolica. Si prenda, per esempio, il caso di una gravidanza decagemellare: è pressoché sicuro che tutti e dieci i feti non arrivino a raggiungere maturità alla vita fuori dall’utero, ma questo non giustifica l’aborto selettivo di 6 feti per accrescere le possibilità di sopravvivenza per gli altri 4. Mutatis mutandis, il caso delle gemelline siamesi del «Sant’Orsola» è analogo, perché nessuno può con certezza escludere che il buon Dio voglia che esse sopravvivano, insieme a tutti e 10 i feti della gravidanza deca gemellare, o che muoiano tutti e 12, ma di morte naturale, per la imperscrutabile volontà dello stesso buon Dio.Altrettanto errata, a mio modesto avviso, è la posizione di Ignazio Marino (“Personalmente credo che non me la sentirei ad intervenire chirurgicamente, già sapendo che una bambina sarebbe sacrificata”), come è bene argomentato da Chiara Lalli: “È molto diffusa l’idea che non agire sia moralmente privo di conseguenze o comunque moralmente meno coinvolgente dell’agire. Ma è una idea ingenua e sbagliata. La differenza è essenzialmente emotiva e psicologica: se non agisco, se non mi sporco le mani, mi sentirò meno responsabile. Ma se il mio non agire implica delle conseguenze peggiori del mio agire?”. C’è però da rammentare che Ignazio Marino si dichiara cattolico e qui si dimostra più cattolico di Eugenia Roccella.
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