Esiste un colpo di Stato buono? Probabilmente per i maggiori fautori dei moti rivoluzionari di inizio Novecento esiste. Oggigiorno sarebbe difficile assimilarlo a qualcosa di necessario e utile. Un’eccezione sembra profilarsi nel piccolo Stato africano del Burundi che ha subito un colpo di Stato il 13 maggio scorso.
Il presidente Pierre Nkurunziza era in missione ufficiale all’estero quando un gruppo di generali ha ordito e finalizzato, la sua destituzione. Corollario del colpo di mano, l’ondata di malcontento di una consistente parte della popolazione per la decisione del presidente di correre per un terzo mandato istituzionale in beffa alla costituzione che sancisce un massimo di due termini.
In due giorni le forze leali al presidente hanno ristabilito senza spargimenti di sangue l’ordine e la carica di Nkurunziza. Il malumore però persiste e i paesi vicini e lontani pressano affinché non si candidi nuovamente.
Un rovesciamento è stato sperimentato con successo in un’altro piccolo Stato del continente Nero, il Burkina Faso. Nell’ottobre scorso il presidente Blaise Compaoré è stato estromesso dopo 27 anni al potere dalle stesse guardie militare che dovevano vigilare sulla sua persona. Questo colpo di Stato è stato salutato con molto apprezzamento in Africa.
L’eserciti africani hanno usufruiti di importanti addestramenti da parte dell’esercito USA. Mentre i governi reclamavano armi il Made in Usa attraverso training and skills che hanno portato senza sanguinaria violenza a rovesciamenti di governi non propri democratici.
L’utilizzo di questo soft power sembra essere molto incisivo anche considerando il fallimento del Mali dove l’ufficiale che preparò il colpo di Stato aveva preso parte a quattro corsi negli USA per poi ripiegare in un tentativo di istituire un regime anti democratico.
Per il ciclo alta tensione, le vie della democrazia sembrano infinite e sembrano addirittura passare attraverso il corpo dello Stato meno democratico che esiste: le forze armate.
A parte le sovrastanti considerazioni, in Burundi si gioca un’importante partita e nella capitale Bujumbara il clima sta diventando molto caldo e gli spettri della guerra civile conclusasi nel 2005 tra l’etnia Hutu maggioritaria e quella Tutsi minoritaria sembrano di nuovo aleggiare. Francia, Belgio e Svizzera hanno bloccato gli aiuti e le ONG americane compresi i loro diplomatici chiedono un passo indietro a Nkurunziza.
Un articolo esemplificativo su ciò che sta succedendo in Burundi: