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Il burlesque secondo Friedkin: Quella notte inventarono lo spogliarello

Da Burlesqueitalia

Quella notte inventarono lo spogliarello (The Night They Raided Minsky's)Con questo post cominciamo un percorso tra i film che, in modi differenti, hanno trattato l’argomento del burlesque.
La prima tappa è datata 1968 e si intitola Quella notte inventarono lo spogliarello.

Il burlesque americano originario, nella prima metà del Novecento, era un intrattenimento basso, maschilista, fatto di ragazze discinte e comicità sbracata, probabilmente un gradino più in basso del nostro avanspettacolo. Sul palco c’erano attori, comici, cantanti e ballerine che aspiravano sempre a qualcosa di meglio. Dietro le quinte, produttori pronti a tutto per un biglietto strappato in più. In platea, ubriaconi, perdigiorno e guardoni. Non sempre, ma quasi.

Un mondo raccontato al cinema, nel ’68, in modo divertito e affettuoso, da un giovane William Friedkin (sì, proprio il futuro regista dell’Esorcista), con la complicità di Britt Ekland, Jason Robards, Norman Wisdom, Elliott Gould: corpi, facce e voci nelle mani di un burattinaio d’eccezione.

New York, 1925. Rachel, ingenua ragazza amish con aspirazioni da ballerina, parte dal paesello alla volta della Grande Mela. Ignara di cosa l’aspetta, trova lavoro nello sbrindellato spettacolo burlesque prodotto da Billy Minsky. La ragazza maturerà, e non sarà la sola.

The Night They Raided Minsky's. Scene dal film.Tutto vero, tranne la trama del film. Perché i Minsky erano quattro fratelli e, per un certo periodo, furono i veri re del burlesque a New York. Perché quella notte non inventarono lo spogliarello (la leggenda vuole che esso sia nato per caso nel 1917, per un incidente occorso alla ballerina Mae Dix mentre si stava effettivamente esibendo in uno dei teatri dei Minsky). Perché quella non fu l’unica volta in cui la polizia fece una retata nei locali dei fratelli newyorkesi (il titolo originale è The Night They Raided Minsky’s), visto che una simile evenienza era quasi all’ordine del giorno.

Eppure non è questo che importa. Un po’ perché alla base del film non c’è la realtà, ma un romanzo di Rowland Barber. Ma soprattutto perché Friedkin è più interessato al contesto, che all’esile storiella, e preferisce mostrarci tutto il possibile di quel burlesque: un intrattenimento popolare che donava qualche attimo di spensieratezza in un pubblico che aveva ben poco da essere felice; guitti che sputavano l’anima per far spuntare sorrisi e lustrini dalla polvere delle assi di un teatro di terz’ordine; gente alla deriva, che faticava a mettere insieme il pranzo e la cena, ma che era anche capace di tirare fuori dignità morale e artistica. Per scoprire che talvolta, tra le paillettes, c’era anche un po’ di umanità.

[Il testo di questo post è apparso, in forma differente, tra le pagine della rivista Film TV, n. 30, 2009, sempre firmato da Attilio Reinhardt]


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