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Il cacciatore di giganti – Ricordi romantici

Creato il 11 giugno 2014 da Raystorm

18396_bigJack (Nicholas Hoult) è un contadino, orfano di entrambi i genitori viene cresciuto dallo zio paterno. Rimasti senza soldi per vivere, si vedono costretti alla vendita dell’unico cavallo in loro possesso al mercato nella vicina città di Cloister. Arrivato li, il ragazzo si ritroverà in una circostanza inaspettata e scambierà il suo cavallo con dei fagioli magici, i quali detengono il potere di collegare la terra al cielo dove si trova la leggendaria città dei giganti. Tra un imprevisto e l’altro Jack vivrà l’avventura da sempre sognata, in una terra al di là di ogni immaginazione per salvare la principessa di Cloister e fermare la vendetta dei giganti. Bryan Singer (che qui ha sostituito in corsa D.J.Caruso con la benedizione dei produttori), dirige il suo primo film per famiglie e lo fa in un modo inaspettato. Il regista del New Jersey infatti, non crea una pellicola fantastica in linea con le più recenti produzioni, che vedono “il signore degli anelli” capolista assoluto in termini di qualità e popolarità, ma costruisce un film dall’aspetto moderno, ma che racchiude nell’anima quell’innocenza fanciullesca propria del genere prima del serioso spettacolo digitale di Peter Jackson. “Il cacciatore di giganti” ricorda film quali “Willow”, “Il drago del lago di fuoco”, “Labirynth” che non i più recenti fantasy dall’aspetto dark e drammatici nei toni, ma in questo caso stiamo pure sempre parlando di un film per famiglie, quindi “Il cacciatore di giganti” si presenta come ragionamento logico su un cinema che si consegna nuovamente ad uno sguardo più giovane/infantile e incontaminato. Singer muove la macchina da presa non curante dell’aspetto degli effetti digitali (che sono molti e tutti i qualità, ma mai fotorealisti), così come non si preoccupa più di tanto se alcune armature più che d’oro sembrano di cartone (a riconfermare come il realismo esasperato non è ricercato minimamente), ma il suo sguardo rimane sempre concentrato nella descrizione dello stereotipo legate alle figure classiche del racconto popolare. Non dovendo delineare approfonditamente i caratteri dei vari personaggi, non è necessario in un film che si fonda sulla bidimensionalità dei protagonisti (divertentissimo in quest’ottica il personaggio di Ewan McGregor), adopera il suo stile asciutto per descrivere la caricatura di eroi e cattivi donando l’originalità richiesta per creare interesse solo alla parte visiva, dove il film si fa obbligatoriamente moderno. Tutto si muove su binari prestabiliti e perfettamente calibrati, che però finiscono con l’assopire l’interesse per una pellicola che fin dal principio gioca a carte scoperte, svelando che l’originalità sta nel tessuto visivo piuttosto che narrativo. Come in “Superman Returns”, ancora una volta Singer trasporta il romanticismo di un cinema smarrito in un corpo filmico bisognoso di rivendicare lo stupore della visione, scrollandosi di dosso la patina di prodotto commerciale ad ogni costo. “Il cacciatore di giganti” nel fare questo manca il bersaglio e nemmeno di poco, ma già per averci provato merita di sicuro la visione.


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