Titolo: Il cameriere di Broges
Autore: Fabio Bussotti
Editore: Perdisa
Anno: 2012
Non si può dire che non sia anche divertente questo nuovo, secondo romanzo di Fabio Bussotti. Sin dal titolo, “Il cameriere di Borges” rivela la propensione dell’Autore a instradare nelle righe del testo il lascito di una grande figura del passato: dopo “L’invidia di Velázquez” (Sironi, 2008) qui è la presenza costante di uno dei padri della letteratura argentina del Novecento a guidare il lettore attraverso un labirintico – non poteva essere altrimenti! – gioco d’invenzioni, di citazioni, di scambi di persona, d’inseguimenti.
A far da teatro a corse e fughe stanno interi Paesi e ancor più vaste distanze, da Roma a Buenos Aires, dalla presentequotidianità a un passato che avvicina l’evanescente Evaristo Torriani tanto a Che Guevara quanto a Jorge Luis Borges.
Non s’è ancora detto che “Il cameriere di Borges”, giallo dall’intreccio avventuroso, si tinge di quel noir vicino a Chandler del quale sembra riecheggiare qualche umore fantastico e discapito di, forse, più prepotenti contesti cittadini.
La trama s’innesca nel momento in cui al commissario Bertone viene chiesto un favore: Evaristo Torriani, anziano vicino di casa, deve andare a trovare la figlia a Palermo – città sicula o omonimo quartiere di Buenos Aires? – e domanda al commissario se, gentilmente, può custodirgli una busta sino al suo ritorno. Un ben organizzato tentativo di rapina, tutt’altro che un gesto abbozzato– qualcuno sta cercando questa busta – getta Bertone in un vortice di interrogativi e lo costringe a indagini serrate. Cosa contiene la busta? – e di conseguenza, perché è tanto preziosa? –;qual è la vera identità di Evaristo Torriani? Queste sono alcune delle domande che creano il dedalo di strade attraverso il quale Bertone si muove insieme a riuscitissimi personaggi femmili.
Intensissimo, seppur nella distanza tra fraintendibili gesti di riavvicinamento/allontanamento, è il rapporto con l’ex moglie. Capace di assumere il colorito cangiante di qualcosa ancora in via di definizione è invece il rapporto tra Bertone e la sua nuova compagna, che da “fiamma” si trasforma sempre più in “donna da amare”… sino a che anche le loro mani non decideranno se stare unite per sempre o se salutarsi.
Romanzo di tradimenti – su tutti i piani: professionale, sentimentale, epocale – “Il cameriere di Borges” tenta inoltre di sciogliere in una trama davvero avvincente quesiti che riguardano il destino d’un popolo, quello argentino, e dei suoi figli: forse la busta che Torriani lascia a Bertone potrebbe contenere l’elenco degli orfani del regime di Videla. Un tradimento nel tradimento, che è quello di Torriani verso il Che, verso il suo Paese – l’Argentina – ma che è contemporaneamente il modo più intimo e forte che un uomo come Torriani ha ancora a disposizione, dopo decenni, per mettersi dalla parte di chi chiede giustizia alla Storia, conservando irrimendiabilmente in cuore il timore che questa giustizia non verrà mai.
Inutile anticipare altro su trama, riflessioni, rievocazioni di intellettuali e di luoghi irrinunciabili per chi conosce o vuol conoscere l’Argentina, lascio al lettore il gusto di sgattaiolare tra continui rimandi d’opere, versi poetici, volti; tra questo mix di generi – mi si passi l’espressione – sta l’attimo per l’impegno civile.
Non pare esagerato, com’è stato più volte sottolineato in interventi e altre recensioni, immaginarsi questo romanzo trasposto sul grande schermo: l’azione non manca, il momento della riflessione neppure; uno stile che in una parola potrebbe essere definito “sobrio” non s’impone mai alla narrazione, non la oscura, anzi: la valorizza proprio nel lasciarla fluire liberamente.
Molta Buenos Aires si dipana tra queste pagine creando immagini d’una letteratura che, come spesso accade per quella Argentina, sa di inganno e di polvere.
Voto i-LIBRI: