Il cammino economico della Federazione Russa dopo il G20

Creato il 25 ottobre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Calato il sipario sul summit dei capi di governo delle venti maggiori potenze economiche mondiali (5-6 Settembre 2013 a San Pietroburgo), e in occasione dell’uscita del nuovo Quaderno di Geopolitica, giunge il momento di trarre i primi bilanci relativamente ai lavori guidati dalla presidenza di turno del G20, quest’anno appannaggio della Federazione Russa.

Il meeting dei capi di Stato e Governo è stato come mai prima preceduto da una attesa densa di commenti e aspettative sulle sue risultanze, molte delle quali contrastanti tra loro. Alcuni vedevano nella presidenza russa un passaggio obbligato dovuto al gioco della circolarità delle cariche, altri più attenti all’agenda sottolineavano il ritorno dei temi quali la crescita economica, la sostenibilità ed il lavoro. A far cornice oltre lo splendido scenario offerto dal Palazzo di Costantino, la gestione della questione siriana ed i venti di guerra, e di guerriglia, che spirano ormai da settimane nel Mar Mediterraneo.

Gli onori di casa, innanzi ad un tale ricco menu, sono spettati quest’anno a Vladimir Putin. Il carismatico leader della Federazione, stretto in un’agenda economica di tutto rilievo, ha visto dopo diversi anni mutare le prospettive di crescita economica mondiale, e la tremenda attualità di un prossimo attacco degli Stati Uniti al regime di Bashar al-Asad; Putin è stato quindi chiamato a giocare un ruolo cruciale, muovendosi tra diplomazia ed analisi geoeconomiche.

Dalla due giorni baltica è, infine, uscita la prossima Russia firmata Putin-Lavrov, decisa a vestire nell’arena politica internazionale un ruolo di primo piano, con una ordinata strategia di medio- lungo termine diretta su due assi prioritari interno- esterno, i cui obiettivi sono così riassumibili:
- Consolidamento della crescita economica interna;
- Rafforzamento dei rapporti internazionali con la Cina e contestuale sviluppo di un ruolo guida all’interno dei BRICS.

L’asse interno

Mentre nel 2012 in Europa i programmi di austerità economica producevano, sui diversi scenari, i medesimi effetti, con la contrazione generalizzata del prodotto interno lordo, la Russia ha visto una crescita economica piuttosto solida (3.4% GDP), con prospettive di miglioramento per l’anno in corso. A tale risultato vanno, peraltro, aggiunti altri “fondamentali” che possono dare indicazione dello stato di salute del gigante euroasiatico, tra i quali il tasso di disoccupazione fissato al 5.4%, una bilancia dei pagamenti in surplus costante, ed un debito pubblico ancorato al 10% del GDP.

Nonostante il raggiungimento di tali risultati, nei mesi scorsi IMF 1 e World Bank 2 erano tornati su alcuni segnali di cedimento, che si lasciavano intravedere l’orizzonte del sistema russo.
Nello specifico si sottolineava come la crescita del prodotto interno fosse ancora in massima parte legata alla domanda interna, ed all’intervento pubblico. Contestualmente, l’adozione nel corso degli anni passati di politiche economiche tese più all’aumento delle capacità di utilizzo delle proprie utilities che alla realizzazione di nuovi investimenti produttivi, sembrano poter aver fatto il loro corso. A fronte di tale sfida lanciata dagli osservatori internazionali, il governo russo ha mantenuto alta l’attenzione sul tema della crescita economica, utilizzando il palcoscenico offerto dalla presidenza del G20, non solo per esporre le azioni intraprese, ma anche per mostrarsi quale necessario interlocutore nelle dinamiche economico-finanziare internazionali.

Nel piano allegato alla dichiarazione conclusiva di San Pietroburgo, la Russia ha sottolineato altresì alcune delle prossime linee guida in merito alla programmazione economico-finanziaria, impegnandosi nel contempo:
- a migliorare il contesto imprenditoriale attraverso la semplificazione normativa e alleggerire gli oneri amministrativi, che in combinazione con un aumento dei finanziamenti per i progetti infrastrutturali mirano a realizzare un investimento maggiore in rapporto al PIL (25% del PIL entro il 2015 e del 27% del PIL entro il 2018).
- a semplificare le procedure di autorizzazione e di ampliare l’elenco delle attività commerciali che non necessitano di ottenere particolari permessi (da 36 a 50 attività) entro il 2018.
- a rafforzare l’alfabetizzazione finanziaria e la tutela del consumatore finanziario, agevolando la risoluzione delle controversie, i meccanismi di ricorso, la divulgazione delle informazioni e il numero di fonti di informazione a disposizione di tali soggetti.

Non è un caso che tali impegni vadano a coprire proprio i settori legislativi oggetto delle maggiori riserve espresse da IMF e World Bank: entrambe le istituzioni avevano concordemente sottolineato nelle proprie analisi, l’importante ruolo che l’investimento privato sarà chiamato a giocare nelle prospettive future di crescita dell’economia russa, unitamente alla necessaria maggiore apertura e sensibilità al contesto imprenditoriale da parte del governo centrale.

Un rinnovato atteggiamento di fiducia all’imprenditoria è da riscontrarsi, altresì, nelle nuove parole del presidente Putin riguardo il sempre più possibile provvedimento teso ad allargare le maglie dell’amnistia, solo da qualche settimana licenziata, per i reati commessi negli anni 90 all’epoca delle liberalizzazioni selvagge.

Il nuovo corso “garantista” della presidenza russa avrebbe chiaramente dei riflessi sullo stato complessivo dell’economia, migliorando il clima per gli investitori privati (ad oggi la Russia occupa solamente la 112° posizione nella graduatoria mondiale, stilata da World Bank, circa i paesi dove è più facile fare business), ed agevolando quindi nuovi flussi finanziari. Una serie di misure che nel medio termine dovrebbero mostrare un nuovo sostegno all’offerta, bilanciando quindi la politica economica russa, da anni incentrata sul ruolo dello Stato catalizzatore ed investitore primario.

Sotto questa strategia, mirata ad agevolare l’investimento privato, andrebbe ulteriormente inserito il forte impulso offerto dalla presidenza russa nel raggiungimento dell’accordo in materia di evasione fiscale, ed il contestuale inserimento nella dichiarazione conclusiva del piano in 15 punti sviluppato dall’OCSE. Il quadro complessivo che emerge è quello di una Russia promotrice di una nuova fase di sviluppo economico, attenta tanto alle esigenze della libera iniziativa, quanto alla tutela del risparmio, dove lo Stato sostiene le industrie strategiche e si avvia al contempo ad un semplice ruolo di “regolatore” per le altre attività.

Asse esterno

Durante i lavori del G20, la Federazione si è mostrata sempre più convinta nel tessere con la Cina la trama di una nuova alleanza politico economica tanto all’interno dei BRICS, quanto all’esterno del gruppo stesso. Ciò si è mostrato in tutta la sua evidenza di fronte ad un’Europa che procede sempre più disordinatamente e non solo in politica estera, ed al delicato momento attraversato dalla presidenza Obama, offuscata negli ultimi mesi dallo scandalo NSA, dalla conclusione del ciclo di politica monetaria espansiva, nonché da un possibile intervento americano in Siria che al momento trova ancora pochi sostenitori.

L’alleanza Russia-Cina ha prodotto una serie di risultati tangibili, su tutti la nascita di un potenziale concorrente ai meccanismi del FMI, con la creazione di un fondo di 100 miliardi di dollari diretto a stabilizzare il mercato delle valute emergenti. Gli annunci della Federal Reserve di voler porre un freno alla politica monetaria americana hanno infatti destato nei mesi scorsi non poche preoccupazioni nelle cancellerie degli “Stati emergenti”: il fondo programmato dai colloqui russo-cinesi sembra essere, pertanto, lo strumento più valido ed immediato per porre un argine alla probabile emorragia valutaria che alcuni paesi emergenti (India in primis) si troveranno a contrastare.

Il ruolo di guida nei BRICS è stato definitivamente segnato con la dichiarazione congiunta a margine dell’incontro bilaterale del presidente russo e di quello cinese proprio sull’atteggiamento scarsamente attivo assunto da Nuova Delhi durante le turbolenze della propria valuta nel mercato dei cambi: per la prima volta all’interno dei BRICS si è, infatti, assistito ad una formale presa di posizione di alcuni Stati circa le politiche monetarie di un “consociato”.

Ulteriore impulso alla rinnovata alleanza si è avuto a margine degli incontri bilaterali con l’annuncio diramato dai due CEO di Gazprom e China National Petroleum (CNPC) sul raggiungimento di una serie di accordi di forniture energetiche. Per dare un’idea dell’impresa economica in gioco basti pensare ai dati resi noti da Gazprom secondo il quale dal 2014 alla CNPC verranno forniti 38 bcm di gas, facendo di quest’ultima il primo buyer del colosso russo.

Gas sì, ma non solo. Se è vero che l’impronta russa nel commercio asiatico è ancora debole, nelle ultime settimane lo stesso Putin ha garantito un piano complesso di progetti infrastrutturali diretti a migliorare i collegamenti con il confine orientale della Federazione e, quindi, con la Cina stessa. Una direttrice di sviluppo economico che va ben oltre la placca continentale fino a raggiungere il passaggio a Nord Est, dove in questi giorni la prima nave cargo cinese completerà la sua rotta fino a Rotterdam dopo aver attraversato il Mare di Barents ed il Mare di Kara, salpando dal porto coreano di Busan.

In un tale contesto di cooperazione tra Russia e Cina s’inserisce in ultima analisi il meeting dei BRICS a margine del G20, prassi che l’economie emergenti hanno deciso di adottare da qui in avanti: tema principale dell’incontro è stata la creazione di una Banca Comune per lo Sviluppo, organismo ombra della World Bank, i cui compiti prevederanno il finanziamento a sostegno di progetti d’infrastrutture e di sviluppo economico nelle nazioni emergenti. Nonostante la nascita di tale Banca sia stata più volte annunciata e salutata dai mercati, le consultazioni sono ancora ad un livello preliminare e gli stessi aderenti hanno dichiarato che nessun progetto verrà alla luce prima del 2015, successivamente quindi al G20 di Brisbane.

Unitamente ad un sostanziale raffreddamento dei rapporti con l’Europa, basti pensare che solo l’Italia ha avuto colloqui bilaterali con la presidenza russa durante i lavori del G20, appare evidente un nuovo riposizionamento delle priorità di sviluppo russe. Il Ministro degli Esteri Lavrov, interrogato in tal proposito, ha comunque negato che la Russia abbia voltato le spalle all’Europa cercando conforto nella geografia, indicando come sia nella natura del proprio Stato cercare alleanze e sviluppare accordi in tutte le direzioni che le sono permesse.

Lo spazio italiano

E l’Italia cosa c’entra? C’entra sicuramente, fin tanto che Enrico Letta, capo del governo della nostra Repubblica, è stato nel corso dell’ultimo G20 l’unico rappresentante europeo ad intrattenersi in un colloquio bilaterale con il parigrado russo. L’Italia, che fatica a trovare lo spazio d’azione nel contesto europeo, ostruita dall’ingombrante presenza tedesca e dalla spada dell’austerity, sembra poter infatti ritrovare un rinnovato spirito di cooperazione in contesti multipolari, dove la sua diplomazia pronta al compromesso può concedere i suoi migliori frutti.

L’incontro, al quale ha partecipato anche l’amministratore delegato di ENI Scaroni, ha avuto il pregio di rinnovare l’interesse reciproco per la cooperazione economica, con molte carte in tavola tutte interessanti: dal ruolo di terzo partner commerciale rivestito dall’Italia nel sistema di esportazioni russe, al progetto South Stream, passando al nuovo piano del governo italiano per attrarre investimenti esteri, per giungere all’annuncio ufficiale della programmazione del vertice intergovernativo Italo-Russo del 26 Novembre prossimo che si terrà a Trieste.

Se quindi è difficilmente negabile un irrigidimento dei rapporti politico commerciali tra Europa e Russia, è chiaro come esistano spazi di manovra per l’Italia in un tale contesto: ecco crearsi per il governo italiano la possibilità di giocare un ruolo di coordinamento tra la potenza eurasiatica e l’UE.

Ad avviso dello scrivente si dovrebbe, quindi, ripartire dalle giornate pietroburghesi per maturare la convinzione che esiste un’economia anche al di fuori dell’Unione Europea. Uno spazio geoeconomico dove, per garantirsi investimenti e risorse, è necessaria lungimiranza, costanza nei rapporti e soprattutto “conti in ordine”: doti che i nostri rappresentati hanno in questi giorni dimostrato di avere, venendo premiati dai fatti sia nelle vicende siriane, sia nelle soluzioni economiche prospettate.


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