Magazine Famiglia
Nei momenti di massima stanchezza; nei periodi in cui tutto gira al contrario; nella congiuntura economica di questi anni, lunghissima e sfibrante per ognuno; in questi momenti mi ritrovo a pensare che se fossi da solo potrei affrontare tutte le difficoltà con un po' più di sollievo, più leggero, senza la responsabilità di due giovani vite che dipendono dai loro genitori per tutto.
Ma poi basta un pranzo con una persona che ti racconta della maternità in fase conclusiva di sua cognata e tutto scompare e solo i momenti belli, quelli che ti avvolgono di nostalgia e malinconia, quei giorni che precedono il parto di tua moglie, ritornano chiari e trasparenti come acqua di torrente di montagna.
E allora ricordi l'attesa, la tua attesa di maschio, comprimario estemporaneo nella creazione di una nuova vita, che cresce dentro di te, giorno dopo giorno, cercando di capire quello che sta succedendo e cercando di ritagliarsi un posto nella storia.
E ascoltare i piccoli movimenti nella pancia di tua moglie, correre a comprare cose forse inutili, rispondere alle continue domande di chi vuole sapere.
Ma soprattutto quella consapevolezza di diventare padre, di avere una vita a cui badare, di sognare un futuro felice e spensierato per te e per tuo figlio non ancora nato.
Sono momenti meravigliosi che ripagano di tutto, che ti fanno guardare i tuoi figli, anche quando vorresti appenderli al campanile della piazza, con l'amore smisurato e fuori controllo che solo un genitore può garantire.
Gli anni passano, i figli crescono, e soprattutto io, invecchio.
Tutto diventa più faticoso, difficile, complicato, in un mondo che gradualmente va verso la sua autodistruzione.
Ma io continuo, nella fatica, a sbirciare i miei figli, quando non se ne accorgono, domandandomi cosa ho fatto di così bello per meritarmi tutto ciò.
Poi una comincia a urlare e l'altro a piagnucolare e quindi parte la ricerca del campanile più vicino...
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