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Il canto del diavolo

Creato il 29 gennaio 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

Il canto del diavoloPer trovare qualcosa di immediatamente assimilabile al furgone scalcinato di Jeepers Creepers (2001), un rottame rugginoso targato “BeatNU” (beating you, qualcosa tipo «ti batto di mazzate»!) alla cui guida c’è un figuro terribile che dà la caccia a ignari automobilisti, bisogna frugare nei meandri della celluloide americana anni ’70 e recupare quel piccolo capolavoro di suspense che è Duel, by Steven Spielberg (con lo script di un inarrivabile Richard Matheson, quello di Io sono Ellen Driscoll). Citazione dichiarata a parte (e ce ne sono a bizzeffe, in questa pellicola), rimane un dato obiettivo, il terrore cioè che quest’apparizione provoca nei due giovani protagonisti e, di conseguenza, nel pubblico in platea! 

Fin dalla prima, concitata scena di questo incalzante horror presentato dalla Zoetrope di Coppola, infatti, lo spettatore in cerca d’una sana risalita di brividi lungo la schiena,

Il canto del diavolo
magari con una spolverata di gelido raccapriccio, è prontamente accontentato. Victor Salva (ex regista-prodigio finito nel calderone degli appestati per una brutta storia di pedofilia) pare volesse rendere tributo al suo film d’elezione Il mostro della laguna nera (1954) e in un certo qual modo centra il suo bersaglio con questo prodotto piacevolmente derivativo, che da quei filmetti che negli ingenui fifties terrorizzavano caterve di adolescenti nei drive-in prende a prestito sicuramente la gestione (fumettosa) della psicologia del mostro, nonché la linearità della trama: Patricia e suo fratello Darry stanno tornando a casa dal college, ma il viaggio sembra solo apparentemente tranquillo. Lungo il tragitto infatti incontrano The Creeper, una creatura demoniaca che torna sulla terra ogni 23 anni per nutrirsi di esseri umani. I due decidono di esplorare la chiesa abbandonata in cui l’hanno visto rifugiarsi col suo mefistofelico veicolo e là sotto vi trovano una orrenda grotta a metà tra la Cappella Sistina e Society di Yuzna (vedi il trailer).
Il canto del diavolo
La cura con cui è fotografata la scena del ritrovamento (con l’occhio della mdp che si abitua gradualmente alla scarsa illuminazione, come un occhio umano, rivelando via via l’orribile spettacolo dei corpi straziati e cuciti alle pareti) rivela un prodotto ottimamente confezionato, pur senza grandi pretese – se non quella di intrattenere in modo non banale. Esonerato dal doversi sopportare tortuose spiegazioni sull’origine del demone e sulla sua presenza su questa terra, al pubblico non resta che godersi lo spettacolo di questo piccolo gioiellino, girato e montato con ritmo e con gran gusto per il «genere». Da segnalare infine l’inutile sequel due anni dopo che nulla aggiunge all’idea originale…


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