Il canto dell’usignolo – Racconto 2° classificato del Lab di Febbraio 2014

Creato il 14 marzo 2014 da Visionnaire @escrivere
Qualcuno potrebbe mal giudicarmi nel conoscere i pensieri che mi sorgono spontanei quando incontro Vanessa.
Ma sarebbe un’opinione affrettata, perché non sa quante volte e per quanto tempo ho cercato di sconsigliarle di mettere “la passera a mo’ di cappottino” a ogni uccello che le cantava “ma che begli occhi che hai.”
Più che una canzone è il vocalizzo dell’usignolo arrapato.
Sottospecie di pennuto senza arte né parte che si attiene al motto “poca spesa molta resa.”
Chi conosce questo volatile sa che ragiona con poco cervello, il quale, tra l’altro, è influenzabile da una parte anatomica distante dal torace che, se ottiene subitanea soddisfazione, fa perdere all’istante l’uso delle corde vocali.
L’usignolo non canta più. Muto. Puoi scordarti il di lui ammore, quello con la o aperta.
È un dato di fatto.
Se invece l’allodola non “becca”, ossia, se la fanciulla non concede le sue grazie, al pennuto si attiva un collegamento cervello-cuore fino ad allora oscuro.
Griderà “al miracolo!”
Imparerà a conoscere un muscolo totalmente estraneo e si struggerà tra le file dei malati gravi nel reparto cardiologico, giacché non ne comprende il funzionamento.
Però a quel punto giurerà di avercela solo lui quella funzione e accuserà la femmina di stronzaggine, specie se lei preferisce un altro all’infartuato di turno.
Perciò dopo svariati tentativi didascalici su ciò che ho appena esposto, che non hanno trovato fecondo terreno nel cranio di una negligente alunna come Vanessa, è arduo non avere pensieri simili, e anzi, vorresti proprio radiarla dallo stormo delle donne.È con rassegnazione che stamattina, incontrandola al “Bar del Corso”, le ho concesso il mio orecchio come asilo alle sue puerili afflizioni.
Stavo ancora girando lo zucchero nel caffè quando mi arriva alle spalle, e con una voce squillante poco consona al caso – che avrebbe richiesto quantomeno un tono funebre – mi fa:
«Ciao Nadia come va?» Ovviamente, senza attendere risposta, continua dicendo: «Non immaginerai mai cosa mi è capitato. Proprio tutte a me devono succedere.»
E invece, non ci crederai ma penso proprio di averne un’idea.
«Vieni cara, che ti racconto,» mi dice.
Vengo tesoro, ma lasciami almeno prendere la tazzina.
«Allora,» mi fa, «ti ricordi quel ragazzo che l’altro giorno era al tavolino davanti a noi? Bé no, sicuramente non ti è rimasto impresso. Pensa che nemmeno io all’inizio l’avevo notato. Anzi, ti dirò, la sua faccia mi era proprio indifferente. Tanto che quando ha cominciato a guardarmi, non mi ero nemmeno accorta che lo stesse facendo. Me l’ha detto dopo che era lì imbambolato dai miei occhi. Giuro, guarda. Se non fosse stato così insistente l’avrei rimosso. Bé insomma, Luciano, si chiama così, quando tu sei andata via si è messo a gironzolarmi attorno.»Questo la fa sorridere, mentre io ho già virtualmente la mano sulla faccia per i possibili sviluppi.«E guarda, ha girato un bel po’ prima che mi accorgessi che mi stava puntando. Pensa che ero tutta presa nella lettura del mio oroscopo; che tra l’altro me lo diceva che quel giorno… ma insomma… Gira che ti rigira ecco che lui mi fa: “di che segno è questa bella donzella?” Ed è stato a quel punto che ho capito. E allora mi son messa a studiarlo, no? Dal mio tavolo. E mi son detta: “mica male.” Così mentre lo guardavo mi sono accorta che mi fissava. E sorrideva. Un gran bel sorriso. Comunque, dopo avergli detto il mio segno zodiacale sembrava che fosse finita lì. E invece eccolo che torna all’attacco. Si siede al mio tavolo e comincia a chiedermi come mi chiamo, quanti anni ho e bla bla bla, e mentre gli rispondo mi fa un’aria maliziosa che… oh mio Dio… e mi guarda estasiato come se avesse visto la Madonna. E comincia a farmi complimenti, a dire quanto belli fossero i miei occhi e quanto fosse meraviglioso il mio viso. E mi prende la mano. Non immagini i brividi che ho provato.»
Come ti sbagli.
«Guarda, mi è saltata su una timidezza che non puoi capire.»
Temo non sia durata il tempo sufficiente a impedirti di toglierti le mutande nel momento opportuno.
«Lui, che a un certo punto doveva andar via, mi ha chiesto se potevamo incontrarci, che non avrebbe resistito un giorno a starmi lontano e che se non mi vedeva la sera stessa sarebbe morto. E così ho acconsentito. Era così interessante… volevo conoscerlo. E insomma, ci vediamo. Mi viene a prendere qui davanti al bar e partiamo. Era pieno di premure, mi ha persino aperto la portiera dall’auto. Un vero gentleman. Poi sai come succede…»
Eh sì, purtroppo nel tuo caso sì.
«Mi prende una mano, mi accarezza i capelli, accosta un attimo e… e bè, ci siamo baciati. Non puoi capire, il fuoco dentro.»Fuori la mia faccia era neutra come quella di un bue che rumina beatamente la sua razione di fieno. In realtà me la sentivo come quella dei cartoons. Quelli con gli occhi che schizzano fuori dalle orbite quando sono orripilati da qualche cosa.«E poi un bacio tira l’altro e abbiamo finito per farlo lì, sul ciglio della strada. Ma una roba che a raccontarla non ci si può credere. Da film porno, insomma. Mai provato una cosa così.»
Ecco, su questo comincio ad avere dei dubbi.
«E la cena?» le ho chiesto.
«E chi ci ha più pensato?»
Bene, si è pure risparmiato l’obolo, il fringuello… ah no, era un usignolo. Ma chissà, dopo una strapazzata del genere forse ha avuto una mutazione.
«Tutto il tempo a baciarci, a dire come era bello esserci incontrati, a farci le coccole e a far progetti per il futuro, a parlare di quando ci saremmo rivisti e cose così.»
Roba che nemmeno Alonso sarebbe riuscito a scappare più veloce.
«Ma allora di cosa ti lamenti?»
«Ecco,» mi dice, «è proprio questo che non capisco, è tutta la settimana che gli mando messaggini. Anche cinque al giorno… e lui non risponde.»
Ohibò che novità.
Poi lei ha continuato e mi ha rivolto la domanda fatidica, «ma cos’ho che non va?»
Ora, la risposta che avevo in mente è facilmente intuibile, ma come ho detto l’alunna non si applica, così, per la “gloria”, ho preferito garantirle un po’ di autonomia, quella che le sarebbe servita fino all’arrivo del successivo usignolo.
Tanto in certi casi non c’è niente da fare, chi ti è davanti ascolta solo quello che vuol sentire.
Così le ho detto: «vedrai che chiamerà.»Il racconto che avete letto è opera di Diana-blues ed è risultato uno dei migliori tra quelli che hanno partecipato al Laboratorio di Febbraio 2014, vincendo a ex-aequo con ben altri due racconti. In seguito è stata necessaria un’ulteriore votazione (da parte del vincitore dello scorso Lab questa volta) per decretare a chi spettasse il podio e questo testo si è classificato secondo. Il tema da seguire era stato scelto da Ariendil (vincitore del Lab di Gennaio 2014).

La traccia scelta da Ariendil era: Il monologo.

Il limite di lunghezza era di 6000 caratteri (spazi inclusi). Il racconto doveva contenere un monologo, con dei vincoli piuttosto impegnativi:
1. doveva essere sotto forma di discorso diretto;
2. doveva essere inserito all’interno di un dialogo tra due o più personaggi;
3. doveva rappresentare almeno un quarto dell’intero racconto.

  • Diana-Blues

    Chi sonoUn'oca giuliva che crede negli asini che volano.


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