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Il capellomane

Creato il 28 gennaio 2010 da Lindaluna
Sui quotidiani di questi giorni tiene banco un giallo davvero interessante: i capelli del nostro Premier.
Un giorno c’ha una moquette in testa, il giorno dopo pare un fungo champignon.
Io dico che pure i capelli non ne potevano più di lui e si sono suicidati in massa.
Questa vicenda, a parte farmi sentire ancor più fiera del mio Presidente, mi ha ricordato che quasi tutti gli uomini che ho frequentato, avevano con la propria chioma (o ex-tale) un rapporto travagliato.
Uno sfoggiava sulla testa uno spazzolone da bagno. I suoi capelli erano così rigidi e ispidi che non mi è mai saltato in mente di fargli una carezza. E lui si ostinava a volerli portare lunghi. Dopo una giornata al mare sembrava Wilson, il pallone da compagnia di Cast Away.
Dopo lo shampoo doveva rovesciarsi sulla testa un secchio di gel extrastrong per sedare quel disastro tricologico.
Una volta andammo insieme ad un matrimonio di amici e lui sembrava avesse fatto una doccia di silicone. Durante la cena bevve un po’ troppo e al momento della torta approfittò della distrazione generale per sedersi su un divanetto un po’ in disparte.
Doveva stare proprio male, perché da lontano gli vidi fare una cosa che non faceva mai: a testa bassa si passava e si ripassava le mani tra i capelli.
La nonna della sposa lo notò e ne ebbe pena. Gli si avvicinò tutta premurosa domandando:
“Giovanotto, si sente bene? Non prende una fetta di tor…”
Lui alzò la testa di scatto e...aaaah!
Wilson con lo smoking.
Le ripetute manate avevano azzerato la tenuta del gel. L’espressione da cefalo e il conato di vomito non miglioravano il quadro.
La nonna gli lasciò lentamente il piatto con la torta sul divanetto e si allontanò di corsa.
Dopo qualche tempo questo ex-emplare scoprì la stiratura chimica e lì la nostra storia cominciò a scricchiolare.
Quando veniva a prendermi sfoggiando la sua nuova pettinatura alla Mrs Robinson, facevo troppa fatica a salire in macchina. Aveva un caschetto con riga al centro e le punte che si arricciavano leziose verso l’esterno. Gli mancava solo un cappellino rosa con la veletta.
Certe volte si presentava con quella stessa mise aggravata dall’“effetto bagnato”.
E a quel punto mi sembrava di uscire con un Mocho Vileda.
“O me o il polonio che ti fai spalmare in testa”.
Ovviamente ha sposato un’altra donna.
So che al matrimonio ha esagerato con la dose chimica e che la sposa, quando lo ha visto sull’altare, si è impuntata sulla soglia della chiesa come un somaro.
“No! Non lo voglio il paggetto di Re Artù!”
Pare che il padre sia riuscito a convincerla sussurrandole all’orecchio “tranquilla che questa volta gli cadono tutti”.
Successivamente incappai in un soggetto con i capelli alla Toto Cutugno.
Quanto si piaceva per via di quel pagliarone!
Diceva che farsi crescere il ciuffo era stata la grande svolta della sua vita.
Uao. Che svoltone.
Se aveva appena fatto lo shampoo e andava in moto, non metteva mai il casco per evitare che gli si ammaccasse la parrucca.
Un giorno osservai: “Fai bene. Se ti dovessi sfracellare, almeno sulla tua testa ci troverebbero dei capelli in ordine.”
Non apprezzò il sarcasmo, ma capì il messaggio. Infatti smise di usare la moto dopo lo shampoo.
Una volta il suo barbiere si fece prendere la mano e gli accorciò i capelli un paio di centimetri più del solito. Lui promise di denunciarlo e corse subito a casa. Si ficcò un cappuccio di lana in testa e non se lo tolse che il mese dopo. A luglio.
Spero non perda mai i capelli. Lo troverebbero alla canna del gas.
A meno che non decida di fare come un mio conoscente. Colto da una parziale calvizie, decise di rinfoltire il vuoto con un toupet. Ma non riusciva proprio ad abituarsi a quello stoppino sulla zucca. Gli prudeva, gli dava calore, non stava mai in ordine. Però nei giorni di freddo gli tornava utile. E pure d’estate, quando in ufficio sparavano l’aria condizionata a zero gradi. Così cominciò ad usarlo come un cappello. Adesso lo mette per uscire e lo toglie quando entra in casa d’altri, in chiesa, al ristorante e per salutare ossequiosamente le signore.
Anche il mio ex palestinese, quando giunse in Italia, aveva un problema con i capelli. Riga da un lato, ondulazione birbante e boccolo finale. Pareva il marito di Rossella O’Hara.
Della serie “mi piaci per quello che sei”, gli ordinai subito di farsi asportare quell’impiastro dalla testa.
Clark Gable mi chiese allora di accompagnarlo da un barbiere qualsiasi.
Un pensiero diabolico si affacciò alla mia mente.
Il poveraccio non oppose nessuna resistenza. Si sedette al centro della stanza con i capelli umidi e un asciugamano sulle spalle. Non c’era nemmeno uno specchio.
Quando vide che brandivo le forbici da cucina, gli venne un dubbio:
“Ma sei sicura? Lo hai mai fatto prima?”
“Certo!”
Come no. Al Cicciobello di mia cugina.
All’inizio me la cavai bene. Ma quando giunsi al boccolo frontale, mi accanii con troppa enfasi dando una sforbiciata da paura.
“Hei piano!”
“Scusa, ti ho fatto male?”
“No, mi hai fatto paura.”
Porca miseria, gli avevo aperto una tangenziale tra i capelli!
Provai a riparare tagliuzzando qua e là, ma non vedevo soluzione.
Alla fine gli lasciai una ciocca più lunga con cui andai a coprire il misfatto. Con un forcina che gli teneva fermo il ciuffetto riparatore, sarebbe stato perfetto.
“Ecco qui!”
Lui prese una padella di alluminio e ci si guardò dentro.
“Che hai combinato!?”
“Perché? Guarda che è la padella che deforma.”
“Dici?”
Quando lo avevo quasi convinto di aver fatto un capolavoro, mi ricordai che quell’aiuola violentata con falciata laterale era il mio fidanzato. Gli feci mettere il cappotto e lo depositai sulla porta del primo barbiere che trovai.
Lo andai a prelevare un’ora dopo.
“Come ti hanno combinato? Sembri una rapa!”
Lui alzò gli occhi al cielo invocando la pazienza di Allah.
Se il giorno che ci conoscemmo decisi che il palestinese aveva un problema con i capelli, devo dire che quello stesso giorno i suoi problemi diventarono due.
Tornando al nostro Presidente, vorrei fare un appello a tutti gli uomini con la stessa sindrome di abbandono. Quando i capelli vi cominciano ad abbandonare, appunto, mettetegliela a quel servizio e liberatevene voi per primi. Lasciate perdere lozioni, riporti, parrucche e trapianti.
Zac. Taglio Montalbano e via.
Noi donne lo apprezziamo molto di più.
Anche perché se da squinzie ci piace l’uomo con la coda di cavallo, da adulte – stressate, isteriche e insofferenti – preferiamo molto di più l’uomo che non ci fa trovare i capelli nel lavandino.
Morale della favola: se somigliate a Richard Gere…e vabbè, qualche capello in giro per casa lo possiamo pure tollerare. Ma se somigliaVATE a Richard Gere e adesso virate sul San Francesco, e allora no. Non ne vale la pena.
A Piazza San Pietro preferiamo il deserto dei Tartari.
Capito Cavaliere?

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