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Il capitale umano

Creato il 01 luglio 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

il-capitale-umano-poster-esclusivo-del-film-294762Adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen Amidon, Il capitale umano, undicesima regia di Paolo Virzì, è, in primo luogo, un pregevole lavoro di scrittura (Francesco Bruno, Francesco Piccolo e lo stesso Virzì), idoneo ad offrire sullo schermo l’efficace resa di un racconto che, partendo da singole individualità, esprime nel corso della narrazione una compiuta coralità, concretizzandosi infine come un lucido apologo, morale ma non moraleggiante, in quanto affida agli spettatori ogni giudizio relativo al comportamento dei protagonisti di fronte a determinati accadimenti. Lascia comunque uno spiraglio aperto alla speranza, rappresentata, con qualche ambiguità e tutta una serie di incertezze, dalle nuove generazioni, una volte sciolte le pastoie genitoriali costituite dall’incapacità di un confronto o da aspettative di una subitanea e sfavillante crescita a propria immagine e somiglianza, imponendo sacrifici sull’altare di falsi valori e fallaci ideali. Rappresenta poi l’ulteriore evoluzione di un autore che sin dal suo debutto (La bella vita, 1994), ha conferito una concreta prosecuzione alla tradizione della commedia all’italiana propriamente detta, capace di conciliare dramma ed ironia, senso del grottesco e acuta disamina sociale.
Tutti questi elementi, ora, servendosi del genere noir come inedita connotazione ed affascinante strumento narrativo, contribuiscono a volgere uno sguardo beffardo ed impietoso, a tratti disincantato, nei confronti di ogni singolo personaggio, anche secondario, coadiuvato al riguardo da una vibrante prova attoriale, una particolare miscellanea nei toni che avvicina Virzì ad un regista troppo presto dimenticato, Antonio Pietrangeli, come già notato da molti. 

 

Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni (Movieplayer)

Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni (Movieplayer)

Rispetto al citato romanzo gli sceneggiatori hanno provveduto a trasporre le vicende dall’originario Connecticut alla Brianza, l’immaginario paese di Ornate, mantenendone la condizione di simbolico microcosmo rappresentativo di qualsivoglia realtà dove la ricchezza sia appannaggio esclusivo dei soliti pifferai magici, ovviamente da utilizzare per accumularne altra e conferire il proprio marchio a tutto ciò che sia acquistabile, persone comprese, ed alimentare l’illusione di poter offrire a tutti identico tenore di vita, in virtù di una rapida acquisizione di quanto al momento non sia nella loro disponibilità. Inoltre, pur nel rispetto della struttura complessiva svincolata da rigidi parametri temporali, si è optato per una serie di felici diversificazioni, a partire dal porre ad inizio film l’evento destinato a divenire l’elemento perturbatore, l’incidente accorso ad un cameriere nel rientrare a casa una volta finito il lavoro, sbattuto fuori strada con la sua bicicletta da un vistoso fuoristrada, idoneo a far scaturire, gradualmente, tutto il marcio presente, triste sintomo d’eguaglianza, in ogni classe sociale.
Dopo questo prologo, il racconto procede attraverso tre capitoli, offrendo la scena ad altrettanti personaggi chiave, intorno ai quali ne ruotano altri non meno rilevanti, delineandone i vari punti di vista nell’affrontare la vita in genere e il tragico accadimento di cui sopra, sino a svelare nell’epilogo quanto possa rendere in termini freddamente monetari l’espressione capitale umano a confronto con la scarsa quantificazione che viene ad assumere nel contesto come reale parametro sul quale investire, fra valori ed ideali ormai mercificati, soppesati con la misura del facile guadagno, sogno dorato di una facile e vacua ricchezza.

 

Bentivoglio e Valeria Golino (Movieplayer)

Bentivoglio e Valeria Golino (Movieplayer)

Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), accompagna la figlia Serena (Matilde Gioli) presso la lussuosa villa del fidanzato Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli), primogenito della più che agiata famiglia, verso il quale papà Giovanni (Fabrizio Gifuni), glaciale e spregiudicato broker finanziario, tutto danè e ghe pensi mi, nutre forse troppe aspettative di una pretesa similitudine, cui il rampollo risponde celando le sue insicurezze dietro qualche bottiglia di troppo. Complice una fortuita partita a tennis, Dino, agente immobiliare che naviga non proprio in floride acque, sposato in seconde nozze con Roberta (Valeria Golino), psicologa, incinta, ammaliato da tutto il lusso che lo circonda, chiede a Giovanni di poter entrare nel suo misterioso piano d’investimento, arrivando a chiedere un consistente prestito alla banca per poter versare la prevista quota, sicuro che i soldi, ora virtuali, si concretizzeranno come e più degli alberi dalle monete d’oro prospettati a Pinocchio da Gatto e Volpe, dopo opportuna semina nel Campo dei Miracoli del gruzzolo donatogli da Mangiafoco. Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi), consorte di Giovanni, ex attrice, avvilita da se stessa, dal suo essere moglie in affitto e madre inadeguata, asseconda l’essere a fianco di un uomo finanziariamente potente, condividendone le modalità di spesa del consistente patrimonio a disposizione, anche se ora sembra aver individuato al riguardo una buona causa, idonea a rinfrancarle la coscienza, il restauro del teatro cittadino, ormai cadente, altrimenti destinato ad essere abbattuto e lasciare il posto ad appartamenti o a qualche centro commerciale.

Bentivoglio, Golino e Gifuni (Movieplayer)

Bentivoglio, Golino e Gifuni (Movieplayer)

La sua buona fede di fondo, una volta selezionati i membri di una costituenda società a sostegno del progetto, dovrà presto scontrarsi con un ideale di cultura non certo propenso al benessere generale, ma alla salvaguardia di singole aspirazioni e personali tornaconti. Ecco sfilare, fra gli altri, una giornalista vacuamente intellettuale, depositaria del sapere riguardo ciò che debba essere o meno rappresentato, un assessore intento a difendere orgogliosamente una trionfale località, a guisa di prodotto tipico, o l’apparentemente dimesso professore di teatro Russomanno (Luigi Lo Cascio, particolarmente efficace), furbo nell’intuire come portare l’acqua al proprio mulino e mantenersi “puro” nel suo auto esilio circoscritto dai confini di una presunta superiorità.
Serena, infine, come su scritto figlia di Dino, sulla quale pesano in egual misura il distacco dalla madre, appena mitigato dalla dolcezza di Roberta, con la quale ancora fa fatica a confidarsi totalmente, al di fuori del suo ruolo di psicologa, e la cialtroneria del padre, espressione di un più generale menefreghismo alle reali esigenze dei giovani esternato dal mondo degli adulti, intenti a costruire un mondo artefatto lontano dai sentimenti più genuini e spontanei, come quelli che si presenteranno alla ragazza una volta conosciuto Luca (Giovanni Anzaldo), coetaneo problematico e disadattato ma così simile a lei nell’intenzione, parzialmente inespressa e soffocata da pressioni esterne, di creare un “altrove” idoneo ad accogliere le loro aspettative e speranze.

Valeria Bruni Tedeschi e Luigi Lo Cascio (Movieplayer)

Valeria Bruni Tedeschi e Luigi Lo Cascio (Movieplayer)

Sorretto da una regia solida e funzionale (ad esempio il carrello e successivo piano sequenza ad inizio film, che ci introducono all’interno della narrazione) il plot riesce a trarre ogni sfumatura caratteriale dai singoli personaggi, rappresentati da attori tutti al meglio di sé nel farci intuire quanto nel romanzo viene minuziosamente descritto, i loro trascorsi, il perché del loro agire: dal bauscia Bentivoglio, inizialmente un po’ caricaturale, alla svagata e lunare Bruni Tedeschi, passando per un raggelante Gifuni, idoneo ad esprimere freddo calcolo e plutocratica sicumera, senza dimenticare i giovani Gioli e Anzaldo, estremamente “veri”, mai artefatti o sopra le righe.
Nel suggestivo legame dal particolare all’universale proprio della trama in sé, assumono poi pregnante rilevanza il montaggio di Cecilia Zanuso e l’insinuante commento musicale di Carlo Virzì. Il finale “doppio” è il punto in cui riscontra la principale differenza con l’opera d’origine, ma nonostante il già citato passaggio, dolente ed ottimistico al contempo, del testimone alle nuove generazioni, per un possibile diverso futuro, il senso di disfatta generale, privo del benché minimo appiglio auto assolutorio, comporta un senso di responsabilità collettiva nel non aver resistito strenuamente al canto delle sirene, lottando per i propri ideali e le proprie più intime suggestioni e convinzioni.
Quanto descritto viene espresso con lucida efficacia non tanto o, meglio, non solo, nella frase rivolta da Carla a Giovanni, “Avete investito sulla rovina di questo paese e avete vinto”, ma soprattutto nella pronta risposta di lui, “Abbiamo vinto, amore. Abbiamo. Ci sei anche tu”, lapidaria sentenza espressa da un imputato/giudice, senza possibilità di appello o ricorso alcuno.

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Matilde Gioli e Giovanni Anzaldo (Movieplayer)

Matilde Gioli e Giovanni Anzaldo (Movieplayer)

David di Donatello 2014 per: miglior film, sceneggiatura, attrice protagonista (Valeria Bruni Tedeschi), attore non protagonista (Fabrizio Gifuni), attrice non protagonista (Valeria Golino) montatore e fonico di presa diretta. Nastri d’Argento 2014 per: regista del miglior film, sceneggiatura (Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo), scenografia (Mauro Radaelli), sonoro (Roberto Mozzarelli), montaggio (Cecilia Zanuso) e per la coppia dei due attori protagonisti, Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni. Premio Guglielmo Biraghi per miglior esordiente dell’anno a Matilde Gioli.


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