Una parte di essi o, per meglio dire, di aspiranti tali, è in piena sofferenza: i giovani. Dall'inizio della crisi, una cosa non ha fatto altro che crescere a dismisura, macinando record su record: la disoccupazione giovanile, oggi stabilmente oltre il 44% e comprendente tanto i veri disoccupati, quanto i Neet. Della serie, non è un Paese per giovani e le – poche – iniziative prese per risolvere il problema, non stanno funzionando a dovere. Coma mai?
In molti, soprattutto nel settore dell'economia e della politica, hanno puntato il dito contro il nostro sistema scolastico: vecchio e non al passo con i tempi, ma, soprattutto, poco collegato al mondo del lavoro. Possiamo dire che queste critiche sono – in larga parte – azzeccate, ma, in fondo, che si può pretendere da un settore massacrato da anni di tagli indiscriminati che, spesso, ne hanno minato il funzionamento stesso. Viene, però, da chiedersi: è vero che è tutta colpa della scuola o come al solito, la nostra classe dirigente cerca solo un capro espiatorio?
Secondo i dati dell'annuale ricerca di Excelsior, sembra che la scuola e l'università italiane (che, intendiamoci, non sono propriamente esenti da colpe o difetti) non siano poi quegli enti inutili, se non dannosi, che ci vengono dipinti. I dati, infatti, dicono chiaramente che il problema non è la formazione, dato che solo il 2% delle assunzioni risulta difficoltoso, perchè non si riescono a trovare giovani sufficientemente preparati.
Solo il 2%? E tutte quelle critiche al mondo della formazione? E tutti quei servizioni su tv e giornali, in cui ci si lamenta dei giovani, che rifiutano posti di lavoro remunerativissimi, perchè schizzinosi e scansafatiche? Come si spiega, quindi, un 44% di disoccupazione giovanile?
Si spiega, ad esempio, in un sistema di leggi adatto a favorire l'uscita dal mondo del lavoro, piuttosto che l'ingresso (così erano la Legge Biagi, la riforma Fornero e così sarà il Jobs Act). Si spiega con le difficoltà delle aziende italiane che, oltre a dover combattere la crisi, si ritrovano ad avere a che fare con i mali endemici del lavoro italiano: burocrazia, tasse, inefficienze, corruzione. Si spiega con un dato simbolico, l'età media della nostra classe dirigente: 58 anni, nel 2013, la più vecchia dell'intera Unione Europea e per niente intenzionata a mollare la presa e a farsi sostituire, pur trovandosi ad avere a che fare con un mondo completamente nuovo.
Certo, non che il nuovo che avanza sia molto meglio, ma quello è un altro grave problema dell'intero sistema Italia: la selezione meritocratica. E di esempi, di come, spesso, ad avere la meglio non sono i migliori, ne abbiamo a bizzeffe: basta digitare su Google "concorso truccato" e salteranno fuori centinaia di notizie sull'argomento. E un tale deficit nella selezione meritocratica, non può che avere una conseguenza: la fuga dei cervelli, ormai endemica.
Ciò che risulta, però, veramente preoccupante non sono la fuga dei cervelli, nè l'alto tasso di disoccupazione giovanile, quanto, piuttosto, la totale ed assoluta assenza di una politica chiara e a lunga scadenza per risolvere questi problemi. I giovani disoccupati? Tutta colpa della scuola, dei comunisti e dei complottatori marziani, ma tranquilli che risolverà tutto il Jobs Act (che, però, creerà solo precari sottopagati e sovrasfruttati). La fuga dei cervelli? E' un dono che l'Italia fa al mondo, mica un problema!
Ciò che risulta veramente preoccupante è che la nostra classe dirigente considera il capitale umano un fastidio e non una ricchezza necessaria al Paese.
Danilo