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Il film (scritto dal regista con Francesco Piccolo e Francesco Bruni) ci offre uno spaccato della vita di oggi attraverso due famiglie. Una, quella dei Bernaschi, è composta da Massimiliano (Gugliemo Pinelli), bello quanto spavaldo e superficiale, e dai suoi genitori, Carla (Valeria Bruni Tedeschi) e Giovanni (Fabrizio Gifuni), un banchiere ricchissimo e squalo della finanza. Con lui decide di investire un corposo prestito in banca Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), uomo di mezz'età a capo di una claudicante agenzia immobiliare, separato, già padre della splendida Serena (Matilde Gioli) e futuro padre di un bimbo che gli nascerà dalla compagna Roberta Morelli (Valeria Golino), psicoterapeuta. Il destino di queste due famiglie è legato, però, anche dalla relazione - molto fisica e leggera - che i due figli hanno avuto e da pochissimo interrotto. Purtroppo il gioco borsistico nel quale si è inserito Dino va male e questo determina, a valanga, una serie di conseguenze catastrofiche sulla sua vita.
Ma i capricci della borsa sono solo l'evento superficiale, perché attorno a queste due famiglie si addensano ben altre ombre: la più oscura riguarda le indagini su un ciclista investito in piena notte, il prologo del film, le altre che l'affiancano sono la dimensione mondana della famiglia Bernaschi, che vede, tra le altre cose, il ritorno di Donato (Luigi Lo Cascio) nella sfera affettiva di Carla e la presenza dell'outsider Luca Ambrosini (Giovanni Anzaldo) nella vita sentimentale di Serena Ossola. Se l'occasione dell'affare sbagliato di Dino lega tutte le vicende e conferisce loro l'alibi per una denuncia sociale più appariscente, è anche vero che Il capitale umano di Paolo Virzì è intessuto sulle controscene, sulle divergenze, sui dietro-le-quinte, sui cambiamenti di rotta. La struttura con prologo, epilogo e tre capitoli (che corrispondono a tre angolazioni diverse della stessa storia, quella di Dino, quella di Carla e quella di Serena), spinge infatti lo spettatore in direzioni centrifughe, facendogli perdere la pregnanza dei fatti, anche se mai dei temi portanti.
Non c'è un solo momento del film nel quale Paolo Virzì (narratore onnisciente sì, ma molto discreto) non ne approfitti per sottolineare le relazioni tra le persone, le loro attese, il loro modo di vivere. Gli eventi e gli "altri" sono già predigeriti e vengono di volta in volta offerti - quando non rinfacciati - sotto forma di giudizio o di insofferenza. Il capitale umano, atto d'accusa contro la semplificazione spietata dell'essere umano al suo valore d'uso o commerciale, è sotto questo aspetto un film non originale, ma molto maturo: Paolo Virzì ha lavorato molto sui personaggi, conferendo loro - anche grazie a bravissimi interpreti - un realismo a tratti davvero notevole. Non c'è solo un ritratto di ambienti, un'accurata o una pregevole selezione di set, ma proprio una sottolineatura sagace delle drammatiche dinamiche relazionali e un tentativo di trovare profondità nelle cose. Il capitale umano, crudele nella sostanza, è un film equilibrato nella forma e meritevole di attenzione: forse proprio la sua intelaiatura narrativa ne fa un'occasione preziosa per cineforum e gruppi di discussione. E a me oggi non par poco.
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