Il Capitale Umano di Paolo Virzì [recensione]

Creato il 20 gennaio 2014 da Elgraeco @HellGraeco

Ecco qua, cose che succedono con l’anno nuovo: mi sono riavvicinato al cinema italiano.

Chissà quanto durerà.

English: Italian film director Paolo Virzì (Photo credit: Wikipedia)

E, da buon (neo)neofita, prima di scegliere di parlarne, mi sono fatto un giro in rete, per capire che aria tirasse nel 2014.

Parere spassionato, secondo me, c’è qualcosa di strano nella critica attuale. Così, a naso. Col tempo ne capirò le ragioni, spero.
Tornando al film:

Cos’è Il Capitale Umano di Paolo Virzì? A parte l’adattamento del romanzo omonimo di Stephen Amidon, pubblicato nel 2004?

È un film come andrebbero sempre girati. Con una piacevole struttura a incastro, suddivisa per capitoli, ognuno dei quali gestito dal punto di vista di un unico personaggio.

Scevro di buonismo, moralismo e qualsivoglia tentativo di ammaestramento morale. Non contiene nemmeno musiche cretine. Non è un film all’italiana.

Serve capire il salto semantico che mi ha travolto. Abituato com’ero al cinema italiano, fatto di mezzucci miserabili, atto a trasmettere valori astratti, che si vogliono instillare nella testa dello spettatore medio per confinarlo lì dov’è, per non farlo evolvere.

Invece il film di Virzì, quasi sicuramente a causa del lavoro da cui è tratto (mente estera, logica diversa nell’intrattenimento, seppur drammatico; logica più libera) mette in scena personaggi reali.

L’errore è considerare questi personaggi specchio assoluto dell’Italia coeva. O farne, peggio ancora, un tentativo di satira bacchettona. Solo perché si è scelto di ambientare la scena in Italia.

Non è satira. Virzì mette in scena personaggi vividi e reali.

Ma andiamo, chi ci crede che il ricco, chiunque sia, debba possedere virtù morali, e quindi elevarsi a superuomo? Voglio dire, chi ci crede ancora? Tanto da stupirsi del cinismo abietto di questi protagonisti?
Non stiamo parlando di favole.

Il ricco, di solito, per diventare tale, è stato (ed è) cinico e figlio di puttana. È un dato di fatto.
E quella persona che non vorresti come nemico, e che ti spaventa anche avere come amico, perché stai sempre lì a temere di prenderla in quel posto, di essere usato.

L’uomo medio, invece, ha l’ossessione di diventare ricco. E la persegue, questa ossessione, con qualunque mezzo. E se, nel tentativo, ci ficca dentro pure un po’ di sesso clandestino: meglio ancora.

Non è un ritratto della società in senso macchiettistico. Al contrario, Il Capitale Umano è la società. La nostra (che non è fatta solo di preti virtuosi, marescialli bonari e padri di famiglia martiri) e quella del mondo intero.

Per cui direi quasi un film internazionale, sui motivi classici alla base dell’agire: l’amore, la colpa, il rimorso, il denaro.

Perfetto.

Ancora più perfetto perché il tutto, questa parabola umana, non si risolve “all’italiana”, o meglio a “tarallucci e vino”, come sarebbe piaciuto a molti, che si emozionano solo così. Con le cose irrealistiche, da romanzo rosa, coi messaggi di speranza che fanno ridere. Quasi l’oro degli sciocchi.

Piuttosto, si chiude in senso assolutamente realistico. Vince davvero, di solito, chi ha il potere per farlo, schiacciando i deboli.

Noi odiamo che sia così. Ma così è. I deboli periscono.

E dal punto di vista narrativo e cinematografico è ossigeno prezioso, questa ventata di verità.

Ho apprezzato tutto o quasi. Se proprio devo essere onesto, l’unica cosa stucchevole è il ritratto dell’amore folle che colpisce due dei protagonisti, che ho trovato piuttosto stereotipato. Ma va anche detto che, nella finzione, i due sono giovanissimi, quindi ci sta questa idea assoluta dell’amore, un po’ ingenua e sciocca.

E, altro punto, la questione medesima del capitale umano, che in gergo (ci viene spiegato nel finale da scritte in sovrimpressione) è il metodo di calcolo con cui una compagnia di assicurazioni stabilisce l’ammontare di un risarcimento. Il capitale umano del titolo è quello che viene liquidato al personaggio causa del contendere nel film: un ciclista investito da un’auto. Ecco, ho trovato strano che questo personaggio non solo sia sempre oggetto (visto che non lo vediamo, a parte l’incipit, agire in una sola scena come soggetto attivo), ma sia anche il leit motiv dell’intera storia. Una scelta insolita.

A meno che, il capitale umano non si debba intendere esteso a tutta la processione di sentimenti inscenata da Virzì, attraverso i tanti, bravi protagonisti.
Su tutti Fabrizio Bentivoglio. Il padre borghese che persegue l’elevamento del proprio status sociale, e lo ottiene a spese della figlia. Ma cito anche Valeria Golino, Matilde Gioli, Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Gifuni.

Non anticipo altro.

È questo, il sano cinismo che eleva Il Capitale Umano dalla palude cinematografica italiana.

Quindi, per parte mia, ve lo consiglio.

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