Ogni tanto, trasgredire fa bene.
E quando a trasgredire è l’integerrima Scribacchina – sì, quella che ha cucito addosso l’elenco delle cose giuste e delle cose sbagliate, delle cose permesse e delle cose proibite -, in quel momento, signori miei, nascono i capolavori. Cose che la nostra integerrima guarda dapprima con occhio stupito, poi con un lampo di simpatia. Perché si rende conto che la trasgressione può essere vista e considerata anche con un altro sguardo: più umano, più comprensivo. Più vicino al cuore.
Vi ricordate la tesina che avevo aiutato a scrivere qualche mese fa? Sì, quella della fanciulla di sedici anni? Credo sia stata una delle grandi trasgressioni della mia vita. D’altra parte, ho sempre bollato come «peccato mortale» far passare per «studiose/disciplinate» persone che «studiose/disciplinate» non sono mai state.
Pensavate che il discorso tesina fosse archiviato, vero?
Anch’io.
Invece no.
Ieri si presenta in redazione la solita bella signora, quella che conosco molto bene. Con fare imbarazzato mi fa la stessa domanda che ho fatto a voi poche righe più sopra: «Scribacchina, ti ricordi la tesina che avevi aiutato a scrivere qualche mese fa? Sì, quella della fanciulla di sedici anni?…»
«Certo che me la ricordo. Perché?»
«Ecco… ci sarebbe da fare un lavoro simile…».
La bella signora usa un eufemismo classificando come «simile» il lavoro che dovrei fare. L’altra volta si trattava di inventare/integrare due pagine su otto e fare un lavoro di correzione generale; stavolta si tratta di scrivere otto pagine su otto, ovvero vergare la tesina da cima a fondo. Perché la fanciulla non sa proprio cosa scrivere, e anche se lo sapesse non sarebbe in grado di tradurlo in parole.
La bella signora mi consegna un foglietto di carta scritto a mano con due appunti volanti: sono le linee-guida per scrivere le famose otto pagine.
Yeah.
Forse dovrei sentirmi dubbiosa se accettare. E non tanto perché – tanto per cambiare – il lavoro non mi manca, ma per una questione di correttezza. Prenderei in giro i suoi insegnanti, presentandola come una ragazza che sa cavarsela da sola di fronte al difficile compito di raccontarsi, quando in realtà è una ragazza allergica allo studio, che ha solo voglia – e tanta – di andare a lavorare.
… No, non mi sento dubbiosa. Mi sento invece come una bimba alla quale si dà in mano una scatola di Lego, con la raccomandazione di costruire qualsiasi cosa la sua fantasia le suggerirà. Senza limiti.
Mi piacciono le sfide, mi sono sempre piaciute.
Le parole mi escono di bocca, quasi da sole: «Tranquilla, tra un’oretta avrai la tesina. Poi mi dirai dove ho inventato troppo, dove c’è da tagliare e dove è meglio integrare».
Le consegno lo scritto non dopo una, ma dopo tre ore (non avevo calcolato che ogni tanto devo lavorare…
).E’ il mio capolavoro: un miscela perfetta tra invenzione e realtà, tra vissuto mio e vissuto della fanciulla, tutto intrecciato di intuizioni e scommesse.
Di un personaggio esistente ho creato la mia personalissima copia su carta – pardon, su schermo.
Una copia che non saprò mai se (e quanto) è simile all’originale.
La bella signora è un fiume di «grazie mille, grazie, grazie di cuore».
Gli occhi le brillano di felicità.
Tra i ringraziamenti ci infila anche un «tu non sai quello che stai facendo». Invece lo so benissimo: sto barando. Sto facendo una grande scorrettezza. Ma quegli occhi che brillano di felicità sono una cosa tanto bella che è capace di spazzare le ultime inutili, stupidissime remore che mi sono rimaste.
Al diavolo la correttezza e le regole, quando una trasgressione può dare la felicità.
In bocca al lupo, fanciulla: sono sicura che riuscirai a realizzare il tuo sogno di diventare commessa in un negozio di abbigliamento.
… Eppure, ho come l’impressione che ci risentiremo presto.
Magari a fine anno scolastico, per la prossima tesina.