Si è molto discusso ieri in redazione riguardo la morte di Osama Bin Laden. Ci si è chiesti se sia cosa buona e giusta che un presidente americano, Nobel per la pace per giunta, dica che “giustizia è fatta” quando l’uccisione dell’uomo più ricercato del pianeta è tutto fuorché un atto di giustizia. Forse un Bin Laden a processo era una chimera, tant’è che in Europa l’annuncio di Obama è stato accolto (quasi) con lo stesso entusiasmo che ha contagiato gli Stati Uniti. Certo, permane qualcosa di “oscuro” in questa vicenda. Ma non per via di un becero cospirazionismo latente, bensì per una serie di questioni che non tornano come spesso accade quando le notizie risultano così frammentate. A T-Mag, ad esempio, ci si è domandati se non sia il caso di mostrare quanto prima ciò che può essere mostrato (che sono pronto a scommettere verrà ad ogni modo sconfessato da qualcuno) onde evitare inutili dietrologismi. Ma torniamo a Obama. Il presidente statunitense – non tutti sono d’accordo, pazienza – ha compiuto un decisivo passo verso la riconferma alla Casa Bianca. Ma il capolavoro politico di Obama non è stato compiuto nelle ultime ore, si è consumato piuttosto nel 2008, in campagna elettorale, allorché affrontava il tema della lotta al terrorismo con determinazione e allo stesso tempo con pacato distacco dalla dottrina dell’amministrazione Bush e dalla propaganda di McCain. In verità, da comandante in capo abile a sfruttare una duplice strategia, Obama ha proseguito – più sobriamente – l’opera del predecessore che ora viene in qualche modo rilegittimata (che piaccia oppure no). Il problema, adesso, è capire come reagiranno le frange estreme o, per meglio dire, i residui di quella organizzazione capillare che è stata al Qaeda almeno fino a poco tempo fa. Qui si accettano scommesse.
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