Ci troviamo nella zona di Lucca, dove avvengono dei delitti efferati. Tre giovani donne sono state uccise e gli inquirenti ritengono che si tratti della stessa mano. In giro c’è un serial killer. Un uomo è al ristorante e sente alcuni ragazzi, vicini di tavolo, parlare di questa storia.
Uscendo si accorge che le chiavi dell’auto e il cellulare non sono nelle tasche del suo cappotto nero. Non ci sono dubbi, nella fretta, deve avere sbagliato paltò. Deve averne preso uno dal guardaroba del locale molto simile al suo. E fino a qui, sono cose che capitano. Ma ciò che egli trova nella tasca di questo nuovo cappotto lo lascia sconvolto. Foto di donne assassinate. Le vittime del serial killer!
Questo vuol dire che l’assassino si trova all’interno del ristorante, e quindi rientrare per scambiare l’indumento sarebbe pericoloso per lui. Non rimane che appostarsi e attendere che qualcuno che indossa il suo cappotto esca dal locale. Bisogna scoprire di chi si tratta, perché costui è sicuramente il killer che tutti cercano.
Allontanarsi per chiamare la polizia significherebbe rischiare di perderlo. Così l’uomo si nasconde all’esterno del ristorante e attende. Ma il killer non è uno sprovveduto, e le cose non vanno esattamente come il protagonista ha pensato. Tutto inizia da un banale equivoco, il cappotto sbagliato preso all’interno di un locale, che si trasforma in un vero e proprio incubo.
Sto parlando de “Il cappotto”, un cortometraggio girato da Giuseppe Ferlito e tratto dall’omonimo racconto di Roberto Ricci, il vincitore della sezione “Racconti per corti” della XI edizione del premio Letterario “Racconti nella rete”. La pellicola è stata girata a Lucca in collaborazione con la Scuola di Cinema Immagina di Firenze.
Gli attori sono Walter Nestola e Fabio Morelli. L’ autore della storia, Roberto Ricci, colui che ormai tutti chiamano il “parrucchiere del brivido”, svolge l’attività di coiffeur ad Ancona da 22 anni, ed ama scrivere storie di genere noir e thriller. Questo cortometraggio mi è piaciuto molto, e lo trovo ben girato.
Crea quella suspense che genera a sua volta attesa e il colpo di scena finale non delude. Buona la regia, supportata da una bella fotografia e, non ultimo, la recitazione supera la maggior parte delle produzioni amatoriali di cui è invasa la rete. Lontano dal genere splatter che sembra ormai imperversare ovunque, “Il cappotto” appartiene al genere dei thriller psicologici, o d’atmosfera, alla Hitchcock per intenderci.
Un filone in cui si cerca di provocare nel lettore o nello spettatore una particolare apprensione, la suspense, che può sfociare nella paura. L’effetto della tensione prevale sulla soluzione dell’enigma. La scrittura è più elaborata, meno “nervosa” e serrata rispetto al giallo d’azione. Insomma, un’opera che provoca forti emozioni, trepidazione ed eccitazione, che guidano la narrazione con improvvisi picchi o cadute nel livello della tensione.
La storia deve tenere l’attenzione costante tramite diversi effetti sorpresa. In questo corto ho rivisto il “primo” Dario Argento, colui che ha alimentato per anni i nostri incubi; e le pellicole di Lamberto Bava, fra tutti “Vestito per uccidere”, dove l’attesa e le aspettative hanno generato le reazioni a tutto quello che è venuto dopo. Qui sotto è riportato il cortometraggio. Auguro a tutti una buona visione.
Written by Cristina Biolcati