21 gennaio 2014 Lascia un commento

Ecco quindi che le sue storie restano sospese nel dubbio d’essere fantasia quasi salgariana declinata non all’avventura, bensi’ a tutto cio’ che puo’ essere straordinario in provincia, soldi e sesso di massima. Chiara mette molto di suo in cio’ che racconta, mescolando se stesso ai suoi protagonisti ed e’ in questa atmosfera indefinita tra autobiografia e finzione che si svolge "Il cappotto di astrakan", col protagonista che lascia Luino e il suo lago per una Parigi che incarna la speranza di una scossa alla propria esistenza, un rivincita esistenziale nei propri confronti e una risposta ad una domanda ancora da porre.
Qui sara’ ospite di una strana vedova, fara’ la conoscenza del figlio fuggito attraverso alcuni diari ritrovati e per le strade di quella Parigi che poco alla volta fara’ propria, s’imbattera’ in Valentine, bellezza molto particolare e un passato con molto in comune con la vedova e indirettamente con la propria persona.
Cio’ che meglio caratterizza Chiara e’ quel sense of wonder di chi immerso nell’ordinario, si esalta anche nelle piccole scoperte e ormai con troppa esperienza accumulata, cerca un modo per tornare a stupirsi di qualcosa, magari dell’amore di una donna, fosse solo nella scusa di raccontarlo agli amici.
L’esaltazione di una borghesia non cosi’ piccola come qualcuno ama raccontare o almeno se piccola deve essere, che sia capace comunque di sognare, di sperare e di vivere avventure nuove. In fondo il protagonista di Chiara un po’ lo si invidia, per la sua voglia di fuggire e per il desiderio di rivincita che non nasce dal solo conquistare una donna, quella Valentine cosi’ diversa dalle dive sognate sui rotocalchi e per questo piu’ desiderabile.
Sorprendersi dell’ordinario, puo’ essere un buon proposito e in questo Chiara e’ un’ottima guida.