Cefalo al cartoccio alle erbe e limoni in salamoia
Tra le varie difficoltà del tenere un blog di cucina - o, almeno, un blog che cerchi di pubblicare onestamente ricette veritiere e, in quanto tali sperimentate dallo scrivente - merita una particolare menzione quella di produrre foto appetibili di quanto si è cucinato: perchè, in effetti, non sempre è possibile. A parte la considerazione che trattasi comunque di attività amatoriale - e che, quindi, le foto vengono realizzate perlopiù di fretta, prima di servire il cibo preparato come pasto - esiste in effetti una legittima ragione per la bruttezza di certe immagini: ci sono cibi buonissimi da mangiare, ma che in fotografia vengono malissimo.
A meno, ovviamente di non lavorarci molto sopra, con impiattamenti strategici o postproduzione informatica. Tutte operazioni che la cuoca, come appare ovvio, non fa; pensando che, in fondo la cucina è arte effimera, tanto quanto la realtà, e che di ogni momento bisogni cogliere - se possibile, ovviamente nella maniera migliore - l'attimo cruciale. Se possibile; quindi, senza l'esigenza di fare il lifting alle vivande, anche perchè se è vero che l'aspetto è importante, la cosa fondamentale è ancora il sapore.
Ciò detto una considerazione, o meglio una rimembranza serpeggiava in fondo all'animo della cuoca, mentre osservava questa foto. Una lezione della sua professoressa di italiano al liceo, che faceva un paragone tra Le ultime lettere di Jacopo Ortis e I dolori del giovane Werter. Con un confronto finale tra i due diversi modi di suicidarsi dei protagonisti, l'italiano pugnalandosi al cuore - con latina enfasi drammatica, e ciò nonostante l'ambientazione nord italica del dramma - il tedesco sparandosi una pistolettata alla tempia, in concordanza con un sentire nordico se non meno enfatico almeno più composto.
La stessa distinzione che si trova tra le due definizioni di dipinti o fotografie che ritraggono figure inanimate che non siano paesaggi, categoria alla quale appartengono quindi anche le immagini di vivande di cucina; per dirla in breve, le nature morte.Nature morte, per noi latini, stilleben e still life, ossia nature ferme, immobili, per i tedeschi e gli anglosassoni; il bodegón, termine usato dagli spagnoli, sembra più prosaicamente far riferimento ai banchi degli ambulanti dove i cibi venivamo messi in esposizione per la vendita a todos los caballeros (che si suppone avessero certe esigenze d'immagine).
E qui torniamo al discorso di partenza, ossia alla diversa modalità di percezione - e quindi di rappresentazione - del mondo, a seconda delle caratteristiche sensoriali delle varie etnie.
Detto questo, è chiaro che l'immagine del piatto sopra riportata non può che far parte della prima categoria; che, per fedeltà alla cronaca riporto, pur dichiarandone - se non giustificandone - la scarsa avvenenza, in virtù della bontà del piatto. Chiedendo venia per l'aspetto; troppo latino, appunto.
Per due amanti latini
1 cefalo (di dimensioni variabili aseconda che lo si consideri un secondo o un piatto unico)4 limoni in salamoia (acquistabili presso le drogherie arabe, sciolti o sotto vetro)erbe aromatiche miste (timo, maggiorana, un rametto di rosmarino, due foglie di alloro)
Pulire il cefalo incidendone il ventre con un coltello affilato e togliendone le interiora. Lavare il pesce sotto l'acqua corrente, introdurre al suo interno 4 piccoli limoni - interi, se possibile, o tagliandoli a metà - e le erbe, ponendole a contatto con la carne interna del pesce. Pressare bene il pesce per chiuderlo e avvolgerlo strettamente in carta di alluminio, mettendolo a cuocere in forno caldo per circa 15 minuti a 180 gradi.Prima di servire scolare dal cartoccio l'acqua in eccesso, e accompagnare con un'insalata novella. I limoni si possono mangiare, volendo.