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Il carretto dei gelati

Creato il 22 novembre 2010 da Enricobo2

Nell'aria spessa del primo pomeriggio di quelle estati assolate c'era un silenzio gommoso, neanche il ronzio di un insetto, neppure un gorgoglio sordo di qualche ranocchia dal fondo di un fosso. La calma stanca e appisolata della campagna afosa. Ad un tratto, erano da poco passate le due, come da un'eco lontana, sentivi uno strombettio breve e stridulo, un perepeeee che arrivava dalla stretta strada del Dazio, dalla cima della collina. Si ripeva un paio di volte, sempre più vicino, quasi allarmato, come se dicesse -Attenzione, sbrigatevi, guardate che arrivo.- Ancora un paio di perepeeee e poi l'uomo gridava - Gelatiiii!- seduto di sbieco sul suo carrettino bianco a tre ruote che si era fermato su uno slargo della strada ragionevolmente in piano. Uscivamo ad uno ad uno dalle case vicine, come topini richiamati dal pifferaio magico e la voce suadente e la cornetta, non avevano più ragione di chiamare.
Eravamo in un attimo tutti lì, un gruppetto di bambini ansiosi che il pusher aveva ormai fidelizzato da tempo, un drappello disordinatamente ordinato in attesa del turno, ognuno stringendo nella manina le due monetine che le mamme avevano da tempo stanziato alla bisogna. Ci affollavamo tutti attorno al carrettino osservando le operazioni di fornitura con spirito critico, in attesa del proprio turno. Quando il gruppo si era formato in maniera definitiva, l'omino metteva fine alle attese e con gesto sicuro allungava la mano sollevando uno dei due coperchi dei bidoncini nascosti nel ventre magico del carrettino. Era un coperchio che pareva d'argento, su cui il sole forte e verticale delle due del pomeriggio, lanciava la gibigianna giocando sulle sue superfici sfaccettate; un cono gibbuto e pesante all'apparenza, con un grande pomello che sembrava doversi sollevare a fatica. C'erano un paio di gusti per ognuno dei due contenitori, così l'omino sollevava la paletta e ti guardava con aria interrogativa. -Da venti lire fragola e limone. Tutto cioccolato. Panna e nocciola.- Con la sinistra prendeva uno dei coni impilati con ordine in una cassettina laterale, poi allungava il braccio nel contenitore misterioso, affondandolo con mestiere.
Rimestava un po', come se volesse privilegiarti scegliendoti il punto migliore, mentre ti guardava di sottecchi e un sorrisetto complice gli compariva all'angolo della bocca. Poi la paletta riemergeva colma della pasta preziosa, soda e gelida al tempo stesso. Con maestria e con gesto di mestiere, ne appoggiava la quantità principale a riempire superficialmente la cavità del cono, poi con palettate successive, aggiustava la montagnola di gelato a formare un bozzo ben saldo e sicuro. Gli dava ancora una ritoccatina, come l'artista che dà le pennelate finali all'opera prima di licenziarla e poi lo consegnava al cliente ritirando le monete che finivano in una sportina vicino ai coni, prima di passare al bambino successivo. Ce ne stavamo lì ad osservare la magia della generazione spontanea dei coni, in silenzio rispettoso, rotto solo dall'ordinazione dei gusti -Ciccolato. Tutto limone. Panna e nocciola- Fino all'ultimo bambino, cercando di buttare l'occhio all'interno dei contenitori da cui sembrava salire un vento freddo, come dalla profondità della terra di mezzo.
Terminato l'officio, l'omino si guardava attorno ancora un attimo, poi prendeva la trombetta e suonava un perepeeee di saluto, afferrava il manubrio inarcandosi sui pedali per avviare lo scoppiettio del motorino che necessitava di almeno un paio di pedalate, un pas d'adieu definitivo, mentre il carrettino prendeva l'abbrivio giù dalla discesa. Dopo la curva spariva alla vista, si sentiva soltanto ancora un - Gelatiiiii - strozzato dalla distanza e un perepeee che l'effetto Doppler rendeva ormai grave e lontano. Rimanevamo lì, seduti sul muretto leccando con gusto il nostro cono e pensando a quei contenitori senza fondo. Chissà se nasceva da solo il gelato, là dentro, una volta che i coni d'argento ne avevano chiuso l'accesso?
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