Un dispaccio di ieri ha sorpreso perfino me: per evidente approssimazione, scarsa deontologia, enorme probabilità di inquinare la percezione di chi legge. Il tema è la sentenza del caso Balyoz, il complotto militare per rovesciare il governo legittimo dell’Akp: e il corrispondente dell’Ansa ha pensato bene – in modo acritico, senza preoccuparsi minimamente di richiamare i fatti (documenti, testimonianze, registrazioni) – di dar voce a chi sostiene che il processo è tutto un complotto, che le prove sono fasulle, che le accuse e le condanne sono una macchinazione di Erdoğan.
“Gli accusati hanno negato ogni addebito, accusando il governo e la setta del leader religioso Fetullah Gulen, molto influente in seno alla giustizia turca, di volere colpire la tradizione dell’esercito in difesa dello stato laico.” Ma perché il movimento di Fethullah Gülen deve essere definito – imprecisamente e sprezzantemente – “setta”, termine che in italiano ha un’accezione comunemente negativa? E chi lo ha stabilito che il movimento è “molto influente in seno alla giustizia turca” (il corrispondente presenta questa illazione come fatto)? Soprattutto: ma ancora con il mantra accettato anch’esso acriticamente – il pretesto per compiere colpi di stato a ripetizione: imprigionando, torturando e impiccando gli oppositori politici – della “difesa dello stato laico”? Un’accettazione acritica che nasce dai pregiudizi anti-islamici del corrispondente dell’Ansa: che non perde la ghiotta occasione, infatti, per ribadire - come fa praticamente ogni giorno – che “l’opposizione accusa Erdogan di volere la progressiva islamizzazione del paese.”
Basta: chi può, lo fermi!
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