Su Natividad ho già parlato diffusamente di questa vicenda, soffermandomi in modo particolare sulla necessità di rispettare i tempi di adattamento dei felini, sull'importanza della sterilizzazione e sul fatto che certi interventi dovrebbero essere portati a termine da esperti (veterinari, psicologi, volontari preparati), anziché da giornalisti rampanti. Se vi interessa conoscere tutti i dettagli della vicenda, andate a leggere l'articolo: non voglio ripetermi.
Qui, infatti, non mi interessa parlare di gatti (sembrerà strano, lo so...), ma di quanto e come questa vicenda - per quanto modesta e di scarso interesse per i più - sia in realtà lo specchio triste e avvilente dei peggiori difetti del nostro (bel?) Paese.
Gli ingredienti, infatti, ci sono tutti:
Dalla pagina ufficiale Facebook di Nadia Toffa.
- l'incompetenza (stando a quanto possiamo vedere nel video) di una giornalista (brava, bravissima nel suo mestiere... non lo metto in dubbio; ma che poco o nulla conosce di etologia felina, colonie di gatti e prevenzione del randagismo) che, in quanto tale, si sente autorizzata ad agire per il "bene della collettività". Poco importa che l'animal hoarding sia un disturbo reale, che presto verrà inserito nel DSM (il manuale diagnostico degli psichiatri) e che, come tale, dovrebbe essere gestito dagli esperti in materia: l'orrore fa spettacolo e bisogna mostrarlo, a qualunque costo;- la tendenza a tenere celato ciò che a rigor di logica dovrebbe essere di pubblico dominio: di fronte alle numerose critiche e a tutte le persone che le chiedevano di poter conoscere il nome della fantomatica associazione animalista che avrebbe dovuto occuparsi a posteriori (sic!) delle sterilizzazioni dei gatti, la Toffa e la sua redazione rispondono con un imbarazzato, spocchioso silenzio;
- l'idolatria dell'italiano medio, che dà per scontato che tutto ciò che proviene dai mass media sia cosa buona e giusta e che i personaggi televisivi siano sempre e comunque dalla parte della ragione: «Perché non volete fidarvi di Nadia?» ci ripetono più volte, sconvolti, i fans della Toffa;
- il troglo-maschilismo strisciante di alcuni interlocutori, che riempiono la pagina della Toffa di commenti di dubbio gusto: dal più tradizionale "ma quanto sei carina" al volgarissimo "dalle una botta da parte mia". Ancora una volta la donna non viene considerata in quanto tale (giornalista, inviata di una trasmissione televisiva...), ma come oggetto da vezzeggiare e assecondare perché "grazioso" e di bell'aspetto. Né mancano le offese e le osservazioni sessiste rivolte a noi volontarie, colpevoli di aver chiesto a più riprese notizie dei sessanta mici: «Ma quanto sei oca!», mi scrive per ben tre volte T. T. sulla pagina ufficiale di Nadia Toffa (nessuno insulterebbe mai un uomo dandogli dell'oca: si tratta infatti di una chiara allusione alla presunta inferiorità intellettuale della donna); e ancora: «Scusa, ma tu hai figli?», come se la realizzazione femminile dovesse passare per forza attraverso la maternità.
(Vi risparmio le battute stupidotte e infarcite di luoghi comuni sull'isteria e l'insoddisfazione sessuale delle gattare, perché sono certa che le possiate immaginare con facilità.)
Il quadro che ne esce è davvero desolante: un'Italia piccola, chiusa, popolata di individui grezzi, che non si interrogano e non si pongono mai (scomode) domande, preferendo farsi cullare dalla sfarzosa sotto-cultura televisiva e dai messaggi (fasulli, falsamente rassicuranti) veicolati attraverso il Web.
In un panorama simile, non c'è da meravigliarsi se alcune persone scelgono di vezzeggiare i gatti, piuttosto che perdere tempo a spiegare il significato delle parole "empatia" e "com-passione" a certi soggetti...