Per me un sabato pomeriggio come tanti altri a seguire allo stadio la squadra del cuore. Ore 16:50: al termine della partita leggo sul tabellone dell'impianto sportivo genovese che la partita Pescara-Livorno è stata rinviata. Maltempo penso. Mi reco comunque nel primo bar dello stadio con una televisione in bella mostra per saperne di più e, mio malgrado, vengo a conoscenza della morte per arresto cardiaco del calciatore livornese Morosini. Da quel momento non ho neanche il tempo per riprendermi dalla notizia che inizia il tam tam mediatico. Le reti sia pubbliche che commerciali a suon di frasi retoriche preconfezionate mostrano sequenzialmente le immagini della doppia caduta dello sportivo prima di accasciarsi per un'ultima volta sul manto erboso. I diversi canali si contendono l'audience nel cercare di mandare per prime e il più velocemente possibile le tragiche riprese attestanti la morte. Come se si stesse mostando alla moviola l'esistenza o meno di un fuorigioco. Ma stavolta in ballo non c'è un goal. C'è la vita di una persona. Neanche la morte, quindi, ha più una dimensione privata. Non importa se avviene in uno stadio dove ci sono migliaia di persone. Attiene, o meglio dovrebbe farlo, ad una sfera intima. La morte mostra così spietatamente il suo carattere democratico e crudele allo stesso tempo. Democratico perchè non guarda in faccia a nessuno: colpisce indistintamente giovani, anziani, uomini, donne, ricchi e poveri. Crudele perché si porta con sè un ragazzo dalla vita già travagliata e difficile: senza genitori, un fratello recentemente morto per suicidio e una sorella con un handicap. A dimostrazione che i soldi possono aiutare ma non sono tutto. Ma più cinico e spietato è stato il mondo dell'informazione, con poche eccezioni, che ancora una volta ha dato vita al macabro reality della spettacolarizzazione della morte. Le immagini e le fotografie fungono abilmente da complemento a servizi e ad articoli ma in casi come questo sono così necessarie? Forse disseteranno la volontà voyeuristica di molti italiani. Una volontà voyeuristica che, troppo spesso, non conosce limiti. Infine, pur con il massimo rispetto per un ragazzo che purtoppo non c'è più, è tragedia solo se i media ne parlano? La morte, almeno per alcuni media non è uguale per tutti e non ha lo stesso peso nella bilancia dell'informazione. Bilancia che pende a favore di un certo tipo di cultura. Lascio a voi il compito di giudicare la stessa.
Magazine Società
Il caso Morosini: la macabra spettacolarizzazione della morte
Creato il 15 aprile 2012 da Bulgarone84
Per me un sabato pomeriggio come tanti altri a seguire allo stadio la squadra del cuore. Ore 16:50: al termine della partita leggo sul tabellone dell'impianto sportivo genovese che la partita Pescara-Livorno è stata rinviata. Maltempo penso. Mi reco comunque nel primo bar dello stadio con una televisione in bella mostra per saperne di più e, mio malgrado, vengo a conoscenza della morte per arresto cardiaco del calciatore livornese Morosini. Da quel momento non ho neanche il tempo per riprendermi dalla notizia che inizia il tam tam mediatico. Le reti sia pubbliche che commerciali a suon di frasi retoriche preconfezionate mostrano sequenzialmente le immagini della doppia caduta dello sportivo prima di accasciarsi per un'ultima volta sul manto erboso. I diversi canali si contendono l'audience nel cercare di mandare per prime e il più velocemente possibile le tragiche riprese attestanti la morte. Come se si stesse mostando alla moviola l'esistenza o meno di un fuorigioco. Ma stavolta in ballo non c'è un goal. C'è la vita di una persona. Neanche la morte, quindi, ha più una dimensione privata. Non importa se avviene in uno stadio dove ci sono migliaia di persone. Attiene, o meglio dovrebbe farlo, ad una sfera intima. La morte mostra così spietatamente il suo carattere democratico e crudele allo stesso tempo. Democratico perchè non guarda in faccia a nessuno: colpisce indistintamente giovani, anziani, uomini, donne, ricchi e poveri. Crudele perché si porta con sè un ragazzo dalla vita già travagliata e difficile: senza genitori, un fratello recentemente morto per suicidio e una sorella con un handicap. A dimostrazione che i soldi possono aiutare ma non sono tutto. Ma più cinico e spietato è stato il mondo dell'informazione, con poche eccezioni, che ancora una volta ha dato vita al macabro reality della spettacolarizzazione della morte. Le immagini e le fotografie fungono abilmente da complemento a servizi e ad articoli ma in casi come questo sono così necessarie? Forse disseteranno la volontà voyeuristica di molti italiani. Una volontà voyeuristica che, troppo spesso, non conosce limiti. Infine, pur con il massimo rispetto per un ragazzo che purtoppo non c'è più, è tragedia solo se i media ne parlano? La morte, almeno per alcuni media non è uguale per tutti e non ha lo stesso peso nella bilancia dell'informazione. Bilancia che pende a favore di un certo tipo di cultura. Lascio a voi il compito di giudicare la stessa.
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