Tutto cominciò con un bacio. Strano che uno psicodramma cominci così, ma quello di una Repubblica e di una politica che non volevano e non vogliono scoprirsi per ciò che sono, ebbe proprio quell’inizio. Certo non era nulla di romantico, perché le labbra erano quelle di Riina e le guance quelle di Andreotti: ma quando la vicenda deflagrò nella cronaca, dopo le rivelazioni di Balduccio Di Maggio, cominciò allo stesso tempo la sua rimozione. Che l’episodio fosse autentico o meno ha pochissima importanza perché, sebbene l’opinione pubblica si fosse subito divisa tra innocentisti e colpevolisti, cominciò subito a circolare una singolare tesi: che fosse inopportuno andare a fondo nella questione perché – visto il ruolo che Andreotti aveva avuto e ancora aveva nelle vicende italiane – questo avrebbe tolto credibilità al Paese.
Cosa resterà di questi anni ’80, diceva la canzone. Ma purtroppo è rimasto proprio tutto, un quarto di secolo è passato e siamo sempre al problema della credibilità, contrapposta alla verità. Nessuno si preoccupa di togliere il fango, quanto di nasconderlo. Dopo il bacio venne mani pulite e anche allora non era questione di corruzione, di innocenza o di colpevolezza, ma del discredito che ne sarebbe venuto all’intero Paese qualora fosse stato scoperchiato il marcio della Repubblica affarista. Quando il 29 aprile del ’93 Craxi si presentò in Parlamento a dire che le colpe erano di tutti, non voleva solo spalmare le responsabilità sul sistema, ma avvertire che ne andava della credibilità del Paese: “I Partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attivita’ propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale.”
E per i quasi vent’anni successivi il grande dibattito è stato tra chi continua a considerare criminale l’illegalità e chi invece ritiene che essa – quando prodotta dalla politica e dalla classe dirigente in genere – è qualcosa di differente, una prassi da coprire per non destabilizzare e non sottrarre credibilità. Questo e non altro significa il dibattito tra “giustizialismo” e ”garantismo” per quanti tecnicismi o sofismi si vogliano affastellare Non ce lo dobbiamo nascondere: è un atteggiamento radicato, diffuso le cui ragioni affondano molto addietro e, a mio giudizio, derivano dalla esiguità della borghesia produttiva in rapporto a quella parassitaria che si determinò a partire dal Seicento. Ma torniamo a noi: tutta la vicenda politica di Berlusconi si è giocata proprio dentro questa polarità: le opache origini di una fortuna, i conflitti di interesse, la P2, gli scandali affaristici, il mercato delle vacche, le politiche di scollamento sociale per finire alle miserabili vicende da vecchio sporcaccione. Incredibile, mentre tutto è stato tollerato, non toccato e in qualche caso facilitato, la credibilità del Cavaliere è stata infine erosa e distrutta da storiacce di camera con viagra: le pubbliche nefandezze non lo hanno messo in crisi come quelle private.
E dunque via il Cavaliere per aver perso credito agli occhi del mondo. Ma ancora una volta ci risiamo come dentro una maledizione: la vicenda Napolitano si gioca esattamente negli stessi termini e dentro le stesso sistema di ricatti ad esso collegato: il presidente ha fatto pressioni per alleviare la posizione di Mancino dentro una delle vicende più oscure e drammatiche del Paese, la trattativa stato – mafia? Ha detto cose inverenconde su alcuni personaggi della politica? Forse sì, forse no, non ha grande importanza: è che occorre conservare a tutti i costi la credibilità non solo dell’inquilino del Quirinale, ma di una intera classe politica che è stata diretta protagonista o spettatrice, ma che in ogni caso ha taciuto consenziente. Con le “prerogative del presidente” da difendere per il presente e per il futuro non si fa riferimento ad altro che alla necessità di nascondere gli arcana imperii la cui illuminazione, sia pure attraverso gli strappi del sipario, non renderebbe più credibile la governance del Paese come è venuto di moda dire.
Possiamo così tornare a quel bacio dal quale ho cominciato: la credibilità da molto tempo non sta in quello che si fa, ma in quello che si nasconde. Non ci siamo spostati di un millimetro da quei giorni e da quei ragionamenti, tanto che ormai ci è difficile essere credibili persino con noi stessi.
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