Fallita la rinegoziazione dell’embargo di armi alla Siria, a Bruxelles si respira la tensione di un profondo fiasco politico. Un fiasco che lascia a redini sciolte Gran Bretagna e Francia, due Paesi che da domani saranno liberi di rispondere alla domanda di armi da parte dei ribelli siriani. Non è stata sufficiente la maratona di negoziazioni degli ultimi giorni a convincere all’unanimità i 27 Stati Membri della necessità di rinnovare l’embargo, a scadenza effettiva dal 1 agosto prossimo.
Parigi e Londra hanno promesso di non impegnarsi a vendere armi all’opposizione siriana «in questo momento», tuttavia dai retroscena trapelati dai funzionari di Bruxelles sembrerebbe essere stata proprio l’azione congiunta dell’asse franco-britannico a causare l’impasse, con il rischio di bloccare anche il provvedimento sulle sanzioni europee contro la Siria e regalare una vittoria politica ad Assad. Le preoccupazioni espresse da parecchi Stati insistevano sul pericolo che la fornitura di armi all’opposizione possa in realtà essere un canale di favore per rifornire i jihadisti, cosa che potrebbe altresì spingere la Russia a rinforzare il suo rapporto commerciale con il regime di Assad. Per adesso, le sanzioni economiche rimarranno in piedi. Fermi quindi il gelo degli assetti bancari siriani nelle filiali europee e il divieto di ingresso nel territorio europeo di Assad e di una serie di funzionari e alti ufficiali espressamente identificati.
Tuttavia, il vuoto apertosi con il fallimento delle negoziazioni lascia aperti numerosi interrogativi.Fino a che punto questa posizione di apertura agli oppositori influenzerà la Russia nel sostenere un regime resosi colpevole di terribili stragi di innocenti? Già recentemente Putin ha affermato che proseguirà nella consegna a Damasco di missili antiaereo, sostenendo che disporre di armi difensive consentirà alla situazione politica di «stabilizzarsi», evitando l’intervento di potenze straniere. Altro interrogativo è se effettivamente Francia e Gran Bretagna rimarranno in attesa di ulteriori sviluppi prima di procedere attivamente in azioni di supporto ai ribelli.
Più volte i rispettivi ministri degli esteri avrebbero sostenuto la necessità di una flessibilità per poter dare risposte pronte alla crisi umanitaria, se la situazione dovesse deteriorarsi in futuro. Per adesso non è chiara la vera intenzione che si nasconde dietro questa sibillina formula diplomatica. Ma il loro omologo irlandese, Eamon Gilmore, ha provato a rassicurare: non verranno fornite armi nel breve periodo e anche se ve ne fosse la necessità, sarebbe dietro strettissime condizioni e solo per la protezione dei civili. Prima di passare alla fase dell’interpretazione, è più prudente aspettare l’esito dei colloqui di pace del prossimo mese, sponsorizzati dagli Stati Uniti e dalla Russia. Magari il fatto di poter anche solo potenzialmente disporre di un aiuto, in termini di fornitura di armi dai francesi o dagli inglesi, potrebbe avere un effetto propulsivo importante sulla forza negoziale dei ribelli contro Assad.
Ylenia Citino