Il Castello del Buonconsiglio è oggi un vasto e importante complesso monumentale.
Dal secolo XIII fino alla fine del XVIII fu la residenza dei principi vescovi di Trento.
Esso è composto da una serie di edifici di epoca diversa, racchiusi entro una cinta di mura in una posizione leggermente elevata rispetto alla città.
Castelvecchio è il nucleo più antico, dominato da una possente torre cilindrica.
Il Magno Palazzo è l’ampliamento cinquecentesco nelle forme del Rinascimento italiano, voluto dal principe vescovo e cardinale Bernardo Cles (1485-1539).
Alla fine del Seicento risale invece la barocca Giunta Albertiana.
All’estremità meridionale del complesso si trova Torre Aquila
Castelvecchio, la parte più antica del complesso del Buonconsiglio, venne edificato nella prima metà del '200 lungo il tratto orientale delle mura cittadine su un rialzo roccioso in prossimità del fiume Adige. Aveva in origine la funzione di roccaforte militare. I tre ordini di merli visibili in facciata segnano le successive fasi di sopraelevazione della struttura (secc. XIV-XV).
L’imponente torre cilindrica, realizzata in grossi conci di pietra calcarea, è il Mastio, edificata nella prima metà del Duecento.
Appartiene al nucleo più antico del castello. La parte più alta della torre presentava in origine una copertura a pan di zucchero, demolita nel XIX secolo dal governo austriaco per ragioni di carattere militare.
Il cortile interno, a loggiati sovrapposti, è dovuto all’intervento tardo-quattrocentesco del principe vescovo Giovanni Hinderbach. Il cortile presenta un porticato sormontato da loggiati su tre livelli, collegati da eleganti scale in pietra.
La loggia Veneziana, affacciata sulla città, si deve agli interventi di abbellimento e ampliamento promossi dal principe vescovo Giovanni Hinderbach. Otto colonne in pietra rosa, con capitelli in pietra bianca scolpiti a foglie e motivi figurati, sostengono nove archi trilobati.
Il maestoso corpo di fabbrica cinquecentesco, detto il Magno Palazzo, fu eretto per volontà del vescovo Bernardo Cles accanto al Castelvecchio nel giro di pochissimi anni a partire dal 1528. Addossato alle mura medioevali, che lo congiungono a Torre Aquila, il Magno Palazzo comunica con la parte più antica del Castello attraverso un passaggio sospeso ed è articolato in quattro ali intorno al Cortile dei Leoni, sul cui lato meridionale si apre l’ampia Loggia affrescata dal Romanino.
Andito davanti alla cappella.
È l’ingresso ufficiale al Magno Palazzo, che si raggiunge da Castelvecchio dopo aver percorso un corridoio ornato da fregi dei Dossi e da una Madonna con il Bambino del Fogolino e dopo aver attraversato un passaggio esterno coperto.
La Stua della Famea, è un grande salone che nel cinquecento era adibito a sala da pranzo per la familia (famea), o corte vescovile.
La sala è detta anche “del tribunale”, perché qui, durante la prima Guerra Mondiale, il governo Austriaco aveva insediato un tribunale, dove furono processati e condannati a morte gli irredentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi.
Cortile dei Leoni.
Situato al primo piano e chiuso su tre lati da pareti in muratura e sul quarto dalla Loggia del Romanino, è un piacevole spazio verde all’interno del Magno Palazzo. Il nome deriva da una fontana cinquecentesca, di cui oggi sono rimasti solo i due leoni in pietra scolpita.
Il lato orientale segue il tracciato delle mura cittadine. Sulla parete meridionale, sopra gli archi della Loggia, medaglioni in pietra scolpiti che ritraggono i profili di Massimiliano I, Filippo il Bello re di Spagna, Carlo V e Ferdinando I d’Austria.
Loggia del Romanino.
Deve il suo nome al pittore bresciano Girolamo Romanino che, tra il 1531 e 1532, affrescò questo importante luogo di raccordo tra i corpi di fabbrica del Magno Palazzo, realizzando uno dei suoi capolavori.
Al centro del soffitto, un grande riquadro raffigura Fetonte sul carro del Sole, trainato da focosi cavalli in una corsa vertiginosa attraverso il cielo.
La sezione egizia del Castello del Buonconsiglio, donata a metà Ottocento dal trentino Taddeo Tonelli, ufficiale dell’impero austro-ungarico, colpito “dall’Egittomania” che in tutta Europa vedeva studiosi e avventurieri in gara per accaparrarsi preziosi “cimeli” da sfoggiare nei salotti della nobiltà. La raccolta comprende stele, maschere funerarie, monili, resti di mummie umane e animali, numerosi ushabty (modelli miniaturistici di servitori funerari il cui compito era quello di sostituire il defunto nelle attività dell'Aldilà) e centinaia di amuleti. Tra gli oggetti più curiosi spiccano una mummia di gatto di epoca tarda, animale sacro che simboleggia il calore benifico del sole, alcune statuette in legno delle divinità Nekhbet raffigurata con le sembianze di un avvoltoio, la divinità Uaget, rappresentata in forma di cobra e di Osiride, dio dell’oltretomba.
Oltre seicento oggetti in mostra offrono la più ricca visione di insieme sull’antico popolamento del Trentino fra preistoria, epoca romana e alto medioevo.
Le testimonianze più remote si collocano alla fine del processo di occupazione del territorio, avviato da cacciatori nomadi giunti da sud dopo il ritiro dei ghiacci, attorno a 11.000 anni a.C., nel Paleolitico Superiore. Ampiamente rappresentati sono i periodi successivi, quando la diffusione di manufatti in metallo coincide con fenomeni di stabilizzazione degli insediamenti, di crescita dei contatti e scambi e della complessità sociale.
All’attività metallurgica che presuppone l’affermarsi di artigiani specializzati, si riferiscono una serie di strumenti come crogioli, forme di fusione per pugnali e asce provenienti dalla palafitta di Molina di Ledro. L’enorme sviluppo della produzione del rame verso la conclusione del II millennio a.C. è evocata dalla ricostruzione di un forno fusorio e da numerosi manufatti in bronzo, fra i quali strumenti innovativi come le roncole, “un’invenzione” delle popolazioni locali.
Diademi in bronzo dalla palafitta di Ledro, una preziosa collana di ambra baltica, oggetti d’armamento, fra i quali spade e i celebri schinieri dei Masetti di Pergine, destinati a proteggere le gambe del guerriero, sono i prestigiosi segni di distinzione e di potere dei ceti emergenti dell’età del Bronzo.
Le fonti scritte di epoca romana collocano nel territorio alpino centro-orientale le popolazioni dei Reti cui si riferiscono, fra il VI-I secolo a.C., caratteristici contenitori in ceramica, strumenti in ferro, come zappe, vomeri/sarchielli e grandi chiavi, nonché oggetti d’ornamento in bronzo.
Agli influssi del mondo etrusco-italico si devono il diffondersi di oggetti legati al focolare domestico e al consumo simposiale del vino, di statuette di divinità e di ex-voto in lamina bronzea ritagliata e l’utilizzo di una varietà dell’alfabeto nord-etrusco. Una fra le più estese iscrizioni è incisa su di un contenitore, una situla, di produzione locale scoperto sul Caslir di Cembra.
La mostra “Antiche Madonne d'Abruzzo. Dipinti e sculture lignee medievali dal Castello de L’Aquila.”
Le opere, una ventina tra sculture lignee e dipinti su tavola medievali, sono state salvate dai vigili del fuoco dal Museo Nazionale dell’Abruzzo a L’Aquila dopo il terribile terremoto di un anno fa.
Tra le sculture spicca la Madonna di Lettopalena, risalente alla fine del sec. XII, un assoluto capolavoro che trova in Abruzzo un unico termine di paragone nella stupenda Madonna di Castelli, assimilata per la sua bellezza ai rilievi della Cattedrale di Chartres.
Le altre sculture ascrivibili alla seconda metà del Duecento, provenienti dalle chiesette di Scoppito e Collettara, nei pressi de L'Aquila, rivelano un gusto popolareggiante, non esente da influssi nordici.
Diffuse nell'Italia centrale nei secoli XII e XIII, queste Madonne appaiono sommariamente intagliate e quasi ancorate al suolo dal peso di enormi zoccoli.
Si distinguono per valore artistico la Madonna di Pizzoli che presenta un maggior rilievo, nelle dimensioni e nell'aspetto, e soprattutto la magnifica, e più amorevole nei confronti del Bambino, Madonna di Penne, qualificata dalle fattezze del volto ancora adolescente e dalla audace scollatura che le scopre le spalle.