Quando alzava gli occhi dalle carte, e meglio quando appoggiava la testa sull'orlo dell'alto e duro schienale, la vedeva nitida, in ogni particolare, in ogni segno, quasi il suo sguardo acquistasse un che di sottile e puntuto e il disegno rinascesse con la stessa precisione e meticolosità con cui, nell'anno 1513, Albrecht Durer lo aveva inciso.
Costruito come fosse un giallo, Il cavaliere e la morte è l'ennesimo racconto di Sciascia di si parla del potere e del suo lato criminale.
Racconto che diventa apologo negativo di un sistema malato, il nostro paese e che Sciascia si sentiva in dovere di raccontare "Il mio ruolo" diceva in una intervista "è di dire le cose che noto o che scopro nella realtà: due e due fanno quattro e, identificate certe premesse, il risultato sarà inevitabile". E ancora "Nessun dono profetico: basta, ripeto, conoscere e osservare, e avere il coraggio di opporsi al conformismo della verità ufficiale".
No, uno come Sciascia alla verità sui giornali di oggi di Andreotti padre della patria, avrebbe detto di no.
Protagonista di questo breve racconto è il vice, un funzionario di polizia che non ha nome e che è mortalmente malato (come malato era il professor Franzò, ne Una storia semplice, a testimonianza di una malattia più profonda di questo paese dove gli eroi hanno un volto cupo e quasi rassegnato).
Assieme al suo capo, devono indagare sulla morte di un avvocato famoso, Sandoz, trovato dopo dopo una cena in cui si è scambiato un bigliettino col potente presidente Aurispa.
Presidente della industrie riunite: durante la cena ha scritto all'avvocato "ti ucciderò" ..
Un gioco, spiega il presidente, con un certo fastidio, ai due poliziotti che si sono permessi di andarlo a disturbare.
Lo zelo del capo, impedisce al protagonista di approfondire ufficialmente la pista che porta all'importante industriale, autore, assieme all'avvocato, di certi intrallazzi che è bene non vengano resi noti.
Ma ecco l'evento che mette a posto la forma delle cose: l'avvocato avrebbe ricevuto delle minacce telefoniche da un certo gruppo autonominato "i ragazzi dell'89".
Chi sono? A che '89 si riferiscono? Forse alla rivoluzione francese del 1789?
L'indagine parallela e ufficiosa del vice, lo porta ad incontrare altri commensali della cena, fino all'amico Rieti (una persona che sa tante cose, forse con un passato nei servizi), che lo imbocca su una strada ispida: la falsa pista del gruppo terroristico creata ad arte per distogliere l'attenzione e gli intrallazzi di Sardoz, che era anche a conoscenza degli scontri interni nei partiti.
Il volto del potere:
"Nella nostra infanzia abbiamo sentito, più che propriamente conosciuto, un potere che si può dire di integrale criminalità, un potere che si può anche dire , paradossalmente, sano, , di buona salute: sempre, si capisce, nel senso del crimine e confrontato a quello schizofrenico di oggi. La criminalità di quel potere si affermava soprattutto nel non ammetterne altra al di fuori della propria , vantat ed esteticamente decorata ...
Inutile dire che preferisco la schizofrenia alla buona salute; e credo anche lei. Ma di questa schizofrenia bisogna tener conto, per spiegarci certe cose altrimenti inspiegabili. Come pure bisogna tener conto della stupidità, della pura stupidità, che a volte vi si insinua e prevale .. C'è un potere visibile, nominabile, enumerabile; e ce n'è un altro, non enumerabile, senza nome, senza nomi, che nuota sott'acqua. Quello visibile combatte quello sott'acqua, e specialmente nei momenti in cui si permette di affiorare gagliardamente, e cioè violentemente e sanguinosamente: ma il fatto è che ne ha bisogno .. Spero che lei mi perdoni questa filosofia spicciola: ma non ne ho altra, riguardo al potere".
"Si può sospettare, dunque, che esista una segreta carta costituzionale che al primo articolo reciti: la sicurezza del potere si fonda sull'insicurezza dei cittadini". "Di tutti i cittadini, in effetti: anche di quelli che, spargendo insicurezza, si credono sicuri .. E questa è la stupidità di cui dicevo".
pagina 60
Con chi parlare di questa pista? Mentre il capo prosegue l'indagine ufficiale sui "ragazzi dell'89", il vice si confida col Grande Giornalista (affinché se ne parli sulla stampa), uno da cui "settimanalmente i moralistti di nessuna morale si abbeveravano".
Il Grande Giornalista aveva ora un'aria diffidente, perplessa. Disse: "Mi aspettavo che lei non rispondesse alla mia domanda, e lei invece ha risposto; che lei negasse il mio sospetto, e lei invece vi ha aggiunto il suo. Ma che succede?".
La sua mente, gli si leggeva in faccia, era tutto un meccanismo di scarti, correzioni, ritorni ed inceppi. "Ma che succede?", angosciosamente.
"Nulla, direi". E ad offenderlo: "Ha mai sentito parlare di amore della verità?".
"Vagamente". Lo disse con ironia sdegnosa [..]
Il vice rincalzò con un "già, già". E aggiunse: "Domani, comunque, spero di poter leggere un suo articolo con tutti i sospetti e i dubbi che io, per opèonione personale, le ho confermato".
Il Grande Giornalista era rosso di collera.
Disse: "Lei sa cbene che non lo scriverò".
"E perché dovrei saperlo? Ho ancora tanta fiducia nel genere umano".
pagina 67
La malattia prende il sopravvento sul vice: sconfortato e stanco, riguarda il dipinto di Durer "Il cavaliere, la morte, il diavolo" che sembra rivelargli la stanchezza del diavolo stesso e pensa:
" L'aveva sempre un po' inquietato l'aspetto stanco della morte, quasi volesse dire che stancamente, lentamente, arrivava quando ormai della vita si era stanchi. Stanca la morte, stanco il suo cavallo: altro che il cavallo del Trionfo della morte e di Guernica. E la morte, nonostante i minacciosi orpelli delle serpi e della clessidra, era espressiva più di mendicità che di trionfo. "La morte si sconta vivendo". Mendicante, la si mendica. In quanto al diavolo, stanco anche lui, era troppo orribilmente diavolo per essere credibile. [...] Ma il Diavolo era talmente stanco da lasciar tutto agli uomini, che sapevano fare meglio di lui. E il Cavaliere [...], dentro la sua corazza forse altro Durer non aveva messo che la vera morte, il vero diavolo: ed era la vita che si credeva in sé sicura: per quell'armatura, per quelle armi. "
Pagina 70
La scheda sul sido di Adelphi
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