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Il Cavaliere? lo voglio Invisibile

Creato il 26 ottobre 2012 da Albertocapece

Il Cavaliere? lo voglio InvisibileAnna Lombroso per il Simplicissimus

Non ricordo chi con sorridente amarezza disse una volta che interloquire di politica con Berlusconi e i suoi famigliari e famigli era come pretendere di catturare attenzione e consenso in una platea di voyeur durante la proiezione di un film hard, parlando della svolta di Salerno, o promettendo per dopo una bella tribuna politica con La Malfa e Saragat.

Chissà se dopo la condanna l’esule di Arcore, antesignano delle carceri private della Cancellieri, o dal domicilio coatto della Sardegna, troverà accenti più dimessi. L’ultimo videomessaggio era nel segno della continuità: l’apparizione virtuale ma liturgica dell’uomo della provvidenza inviato in terra a miracol mostrare, quello della salvezza dai comunisti, del primato dell’affaccendata mescolanza tra business e politica, del tycoon che si fa da sé e prodigiosamente soffia la vita perfino in Alfano.  Impossibile uguagliare i gangli profondi della sua pulsionalità animale, della sua radicalità prepolitica, del suo estremismo di centro, capace di rivolgere i suoi cachinni e i suoi sberleffi indifferentemente contro destra o sinistra colpevoli di mantenere l’arcaica forma stessa della politica.

Ci provano tecnocrati e rimasugli partitici, mutuando le sue boutade surreali, le iperboli visionarie, indifferenti a ogni nesso logico, gli annunci immediatamente smentiti, le uscite inopportune, ma sarà probabilmente ineguagliabile. E in questo risiede il rischio di non averlo rinchiuso allo Spielberg, altro che 4 anni, o nell’isola di Montecristo, con Sallusti come l’abate Faria o come Maroncelli. Di non essere riusciti a rimuoverlo dall’immaginario oltre che dalla parte più vergognosa dell’autobiografia nazionale, perché la sua discesa in campo e il suo ventennio hanno legittimato, suo tramite, verità nascoste, vizi comuni, estraendo l’inconfessato e fino a allora inconfessabile da dentro una parte di italiani, liberando meccanismi di identificazione inediti, svincolando intimi bisogni di licenza e assoluzione, emancipando i difetti fino a renderli virtù pubbliche.

Perché ha ragione il Simplicissimus, il film Italia continua anche se il volto prestato, l’idealtipo apparentemente è fuori dallo schermo, dopo aver germinato i fiorito, i zambetti, dopo aver nutrito con il suo humus un ceto dirigente e diligente nell’esercizio dell’affarismo, della personalizzazione della politica, nella commistione con una scrematura malavitosa particolarmente rapace.  E dopo aver alimentato il terreno favorevole all’affermazione dell’enfasi delle sue primitive intuizioni, con il sopravvento dell’ideologia e dei suoi sacerdoti al governo, quella delle privatizzazioni, della liquidazione coi beni comuni e con le garanzie, della democrazia e della legalità. Il disegno più o meno sofisticato, più o meno bestiale è lo stesso: sgretolare lo stato abbattendo lo stato sociale e l’impalcatura di diritti, far coincidere l’interesse individuale e personale con quello di un ceto ristretto e avido, favorire un l’affermazione di quella cupola globale di padroni spregiudicati, influenti tramite il possesso dell’informazione, giocatori d’azzardo della finanza creativa, politici prestati al malaffare, emissari della criminalità.

Altro che l’interdizione, meritava la cancellazione: ha fatto di più che privatizzare il governo, trasformandolo in una macchina d’affari per sé e poi per un ceto che ubbidisce a un ceto più su, ha cambiato complice una opposizione invertebrata e media appiattiti i codici della politica, le sue forme essenziali, annettendo il sottofondo malato dell’anima nazionale e corrompendo quello più vulnerabile, ha sostituito i suoi sberleffi e lo sghignazzo cinico dei suoi successori al verbo nobile delle virtù repubblicane e della democrazia.

Non voglio condividere responsabilità che non ho, non devo pentirmi di complicità che non ho concesso. Ho il diritto di far parte di un tribunale che deve condannarlo all’oscurità, facendo calare la tela sul suo spettacolo.


Filed under: Anna Lombroso, Berlusconi, Democrazia, Finanza, Governo

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