A
Gotham City è in
arrivo una tempesta. Ad annunciarla non è il bollettino meteorologico
perché le ragioni non dipendono da cambiamenti atmosferici o
sconvolgimenti climatici. La nuova catastrofe trova spiegazione nel
passato di Batman, difensore della città deciso ad espiare con un esilio forzato le morti del procuratore distrettuale Harvey Dent ma soprattutrto dell'amata Rachel
di cui si sente in parte responsabile. A chiedersi che fine abbia fatto
sono in molti: dal
commissario
Gordon (Gary Oldman)che fu testimone di quegli eventi ed ora
ripulisce la
città dai malfattori al posto dell'eroe, ad Alfred il maggiordomo che
rimprovera a Bruce Wayne
una scelta di vita mortificante ed ingiusta, al giovane
poliziotto John
Blake legato in maniera indiretta al miliardario per aver beneficiato
dell' attività filantrofiche della Wayne Enterprises. Insieme a loro se
lo domanda anche la comunità locale in cerca di un nuovo messia quando
Bane, il cattivo di turno legato in qualche modo alla setta delle ombre
che già nel primo episodio della saga aveva tentato di impossessarsi
della città, minaccia
di farla
saltare in aria Gotham dopo averla isolata e ridotta all’anarchia.
Ed è proprio il
ritorno del figliol prodigo con tutte le implicazioni connesse con la
sua
perdurata assenza a costituire la parte migliore e più importante del
film,
quella in cui la vicenda riesce a costruire un tessuto di luce e di
ombre nel
quale personaggi vecchi e nuovi mettono a punto la loro presenza
all’interno
della storia. E’ in questa fase, quella che precede l'inzio dello
scontro, che Nolan riesce a trovare la sintesi quasi perfetta tra la
magniloquenza di una messa in scena da film blockbuster ed il
minimalismo da cinema d'autore necessario a preparare il terreno
emotivo
di ciò che seguirà.
Un’antefatto che riesce a regalarsi la scena più bella in termini di
adrenalina
e di spettacolo con le immagini di un dirottamento aereo ripreso
direttamente a
bordo di un troncone della carlinga spezzata ed in picchiata verso il
nulla, in cui Bane ed
i suoi accoliti si prodigano per portare a termine il primo tassello di
un’ascesa inesorabile. Un groviglio di mani e di corpi ridotti in uno
spazio
strettissimo e schiacciati da una ripresa frontale che sembra voler
togliere
aria all’ambiente. Minuti contati che riescono a fermare il tempo per
l’assenza
di qualsiasi punto di riferimento che non sia il vuoto che circonda
quella
gente. E poi dopo una piccola pausa ancora una sorpresa con l’entrata in
scena
di Celina Kaye, alias Catwoman, sexy e ambigua anche in tenuta da
cameriera e
fin da subito alle prese con un furto messo a punto proprio nella villa
di
Bruce Wayne. Sarà proprio quell’irruzione a riportare sullo schermo la
faccia
consunta dell’eroe sofferente, a rimettere in gioco il passato ed il
presente
di un uomo che non riesce a perdonarsi l’incapacità di salvare le
persone che
gli stanno più a cuore. Passaggi di una densità psicologica pregnante ma
sviluppati con la dimestichezza di chi deve fare i conti con un pubblico
abituato a toccare con mano prima di credere. Un equilibrio che si perde
quando
l’alterego mascherato decide di fermare la minaccia criminale. Da lì in poi il cinema di Nolan perde equilibrio per
assumere la forma di una spirale che si allarga progressivamente verso
l’esterno, accumulando nelle sue infinte rivoluzioni temi, significati e
colpi
di scena sempre nuovi che complicano ed affaticano per eccesso una
sceneggiatura costretta a tenere insieme la trama con molteforzature e
poca
verosimiglianza. 
A stento coperte dal tourbillon degli eventi e dall'invadenza della colonna musicale sono molte le cose che non tornato a cominciare dal maquillage imposto al personaggio di Bane (un Tom Hardy più che mai muscolare) prima invincibile e poi mera comparsa quando il colpo di scena posticcio che lo lega ad uno dei personaggi vicini all’entourage di Bruce Wayne c’è lo restituisce senza più la sua proverbiale ferocia assassina; oppure la rivelazione che riguarda il commissario Gordon, sbugiardato in diretta televisiva e messo alla gogna dal collega idealista John Blake per aver mentito ai cittadini di Gotham, e poi come se nulla fosse raffigurato a capo della resistenza locale in maniera carismatica ed eroica.
Così nel tentativo di contenere un materiale cresciuto a dismisura Nolan da una parte aumenta il minutaggio, dall’altra cerca lucidità narrativa inserendo una quantità di sequenze interlocutorie, utilizzate per cucire e semplificare i passaggi più contorti. Il risultato è didascalico, a volte ripetitivo, penalizzante nei confronti di un personaggio come Catwoman (Anne Hatheway in giudicabile) molto sponsorizzato dalla produzione ma in fin dei conti messo in secondo piano rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi ed ancora non esaltante in un villain come Bane penalizzato da una maschera metallica alla Hannibal Lecter perennemente indossata da cui alla fine Nolan non riesce a ricavare altro che forza bruta e voce metallica. In questo modo tra considerazioni mistiche (la paura è la spinta per superare i propri limiti), riferimenti millenaristici (il sacrificio della città e la sua palingenesi serviranno a mondare i peccati di una società corrotta) e richiami alla crisi contemporanea – un poliziotto rifiuta di difendere Wall Street perché strumento di potere della classe agiata mentre Bane istituisce un tribunale rivoluzionario per giustiziare i ricchi colpevoli di aver amministrato con sommo egoismo – “Il ritorno del cavaliere oscuro” si conclude con un finale apertissimo che dal punto di vista commerciale potrebbe dare vita a diversi tipi di format (reebot o sequel)a cui sappiamo già Nolan non prenderà parte. Un cambiamento che potrebbe giovare al regista ed anche alla serie.






