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TramaSono trascorsi otto anni da quando Batman si è ritirato dalle scene, autoproclamatosi fuorilegge dopo la morte di Harvey Dent-Due facce, assurto invece a falso idolo della comunità. Complice il decreto che porta il nome dell'ex procuratore, a Gotham City la criminalità sembra essere stata sgominata. L'arrivo acrobatico della ladra Selina Kyle (alias Catwoman, che ha le movenze feline e lo sguardo luminoso di Anne Hathaway) e l'irruzione di Bane, terrorista addestrato tra le file della Setta delle Ombre, spingono Bruce Wayne ad abbandonare il suo esilio volontario e a reindossare i panni del pipistrello.
Premessa lamentosaNon fosse stato per la calura estiva che mi ha convinto a desistere, vi confesso di aver vagliato attentamente, nelle ultime settimane, l'ipotesi di un espatrio mordi e fuggi, per poter vedere Il cavaliere oscuro - Il ritorno. Tra distribuzioni posticipate (Prometheus, Hunger) o del tutto mancate (Beginners, Twixt??), forse sarebbe saggio appellarsi alle autorità competenti perchè si introduca un nuovo status: quello di rifugiato cinefilo.
La recensione Detto questo, passiamo al film che, se è di un gradino inferiore al secondo capitolo della saga, certo si situa ben al di sopra di tutto quanto ci viene attualmente propinato in materia di supereroi e in generale di blockbusters. Christopher Nolan, il grande demiurgo, il “geometra dei sogni” dal cuore di ghiaccio, è oggi l'eroe che Hollywood non merita, ma di cui ha tremendamente bisogno. Smarrita la bussola dietro la chimera di una tecnologia (la computer grafica, il 3D, il digitale) che si presume tanto più efficace quanto più mirabolante, agli studios americani può far solo bene la dieta a basso contenuto di Cgi imposta dal regista britannico, con il suo gran rifiuto della stereoscopia in favore di una bidimensionalità in formato 35 e 70 mm. Un cineasta old school, cui la maschera da cinecomics è sempre andata stretta. Vi siete davvero bevuti la favola del regista di pellicole come Memento, The prestige e Inception, che vuole raccontarci le gesta di un miliardario orfano travestito da pipistrello? Macché. Il mondo di Nolan non è mai stato così denso, così stratificato come nella cupa geografia di Gotham. E in quest'ultimo Cavaliere oscuro, finalmente, tutti i fili tematici e narrativi pazientemente aggrovigliati nei primi due episodi si dipanano, là dove il passato contiene le ragioni del presente, come in un incastro di scatole cinesi. Sorprendente il montaggio, ardito ed esaltante soprattutto nello smisurato epilogo, in un gioco di andirivieni tra personaggi e livelli di trama, come se mai davvero ci si fosse svegliati dal sogno di Inception, e la trottola del tempo girasse ancora impazzita. Il risultato non potrebbe essere più grandioso e megalomane insieme. La lunghezza è biblica (2 ore e 42 minuti di film), l'epicità omerica, il tormento dei personaggi, con Bruce Wayne in prima linea (Christian Bale, ottimo come tutto il cast, Marion Cotillard a parte), amletico. In fondo, in tre film Nolan ha fatto quello che Tim Burton mai ha azzardato nel suo dittico: capire chi è Bruce Wayne. Evangelica la pervicacia con cui Batman decide di caricarsi sulle spalle per la salvezza della città i peccati di Harvey Dent, nonché il martirio cui sottopone carne e spirito. Come Cristo, risorgerà dalle tenebre di una prigione scavata nel deserto, e la sua resurrezione, compiutasi in poche settimane grazie all'intervento del dio dei fisioterapisti che gli raddrizza la schiena spezzata, non è meno miracolosa di quella del Nazareno. L'ambizione, invece, è il peccato, tutto umano, di un autore meticoloso e cervellotico, che da due film a questa parte insegue l'ideale di un'architettura narrativa divinamente equilibrata. Nolan aspira a parlare la lingua dell'epica e della leggenda. Non importa se nella sua foga dialettica incespichi talvolta in qualche balbettio diegetico, se in alcune scene dimentichi il più elementare abbecedario della verosimiglianza, seminando qua e là lungo la sceneggiatura incongruenze più o meno clamorose: il poliziotto orfano John Blake (Joseph Gordon-Levitt) che con un solo sguardo intuisce l'identità del Cavaliere oscuro, la convalescenza brevissima di Wayne, gli spostamenti alla velocità della luce da un capo all'altro del globo. Incongruenze soprattutto cronologiche. D'altronde, la linearità non è mai stata una priorità nella poetica del regista inglese, semmai terreno fertile per virtuosistiche capriole narrative sul filo di paradossi spazio-temporali. Da Memento a Inception, i film di Nolan sono rompicapi che sfidano l'acume dello spettatore, col rischio di lasciargli in bocca la sgradevole sensazione di non averci capito un granché. Le sfide perdono appeal quando considerate al di là della propria comprensione. Fortunatamente, però, il rischio nella trilogia viene sventato, e la storia, pur nelle sbavature del copione, procede con coerenza implacabile.
Batman begins era incentrato sul tema dell'identità da costruire (e nel vocabolario dei supereroi identità fa rima con responsabilità, Spiderman docet). Speculare la questione della paura, da affrontare per poter maturare il sé eroico. Siamo dalle parti del romanzo di formazione, al cui termine Batman imparerà a diventare la paura stessa, scegliendo come proprio simbolo il pipistrello che tanto lo terrorizza, ma al prezzo di sacrificare Bruce Wayne, che da quel momento incarnerà la vera maschera, quella del miliardario sfaccendato. “Non è tanto ciò che siamo, ma ciò che facciamo che ci qualifica” è il ritornello del film. E se il primo antagonista di spessore (Ra's al Ghul), permetterà al giustiziere alato di affrancarsi dal suo fantasma più ingombrante, quello del padre, sarà il secondo appuntamento della saga a regalargli un cattivo senza mezzi termini. La scelta che il Jokermette di fronte al Cavaliere oscuro rompe il tabù del buono invincibile, rivoluzionando i connotati della graphic novel: salvare l'amata Rachel o il procuratore Harvey Dent, speranza nascente di Gotham? Laddove l'Uomo ragno di Raimi riusciva a soccorrere sia Mary Jane che i bambini appesi alla funivia, qui la donna, inaspettatamente, muore. Era dai tempi di Kevin Spacey in Seven che non si vedeva un 'aut aut' così sadico. Solo che lì eravamo in un thriller su un omicida seriale coi fiocchi. Il Joker di Heath Ledgerinsinua un elemento nuovo: la psicopatia. Non conosciamo il suo passato (le storielle su come si sia procurato le macabre cicatrici a forma di ghigno discordano ogni volta). Nella sua malvagità non si scorge un'origine traumatica, come era per il Joker di Nicholson, nato gangster complessato e diventato mostro solo dopo un bagnetto nell'acido, e come sarà per il villain del finale, Bane, mercenario innamorato e mastodontico picchiatore, con una maschera da Hannibal Lecter che lo protegge dal dolore e testimonia un passato di soprusi. Un Tom Hardy eccezionale, troppo presto sacrificato sull'altare di una delle tante giravolte narrative che movimentano il plot. Dopo la follia pura del clown, ecco che è di nuovo lecito umanizzare il cattivo. È da Omero, dalla pietà per il corpo straziato del valoroso Ettore, che la letteratura (e la cinematografia) mondiale paga il suo tributo ad un nemico tragico, che soffre e ama proprio come gli eroi. Ma, in fondo, la visione di Nolan non è mai stata manichea. “O muori da eroe, o vivi abbastanza da diventare cattivo”, diceva Harvey Dent prima di sfigurarsi volto e anima.
Uno specchio del presente Attaccato negli Usa da quanti hanno letto in questo epilogo una critica al movimento pacifico di Occupy Wall Street e una spia della sua presunta fede repubblicana, Nolan ha risposto rivendicando un intento di puro entertainment. Sarebbe miope, tuttavia, chi non si accorgesse della massiccia dose di riferimenti alla realtà odierna. Alla minaccia del terrorismo che colpisce al cuore la nazione americana, all'uso pervasivo dei media (in questo Batman c'è sempre un televisore acceso sul disastro metropolitano), all'avidità degli speculatori finanziari che mettono in ginocchio un intero paese, ma anche al pericolo di una rivoluzione pilotata dalla retorica della demagogia. Torna lo spettro della rivoluzione francese nelle sentenze di un tribunale che sembra fuoriuscito dal periodo del Terrore. Ed è fin troppo palese la messinscena di una nevrosi urbana che trova ragion d'essere nell'11 settembre, con tutto quell'indugiare sulle bandiere a stelle e strisce ridotte a brandelli e lo stadio di football inghiottito dalle fogne subito dopo l'inno intonato dalla voce di un bambino. È Gotham, prima ancora del suo cavaliere disarcionato, che deve cadere per imparare a rialzarsi. Gotham che assomiglia a New York, Gotham che è la quintessenza di quel male che noi tutti riconosciamo nelle convulse cronache dei nostri giorni. Il fumetto si fa utopia ed etica. La responsabilità, da individuale, civile. Solo allora, il mondo potrà fare a meno di Batman, e Bruce Wayne, da maschera, potrà tornare ad essere uomo.
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