Reato imperdonabile: dedicarsi alla lettura de “Il cavaliere Panciaterra”, ultimo lavoro arrivato in Italia dell’irresistibile, fantasioso e bislaccamente geniale autore francese Gilles Bachelet, senza dedicare tempo e attenzione all’osservazione dei gustosissimi e numerosi dettagli delle tavole. Ma d’altra parte reato difficilmente commettibile, perché le grandi e ricche illustrazioni di cui è composto quest’albo di buon formato, chiamano il lettore a sé con la forza di una calamita che promette, soddisfacendole, gioie per gli occhi, risate, ed esclamazioni di spontanea meraviglia per le tante invenzioni argute e divertenti.
Figure a singola o a doppia pagina, sequenze o scene piene, ma tutte esaurienti a creare un mondo, quello minuscolo dei piccoli personaggi, zeppo di riferimenti al nostro, alle nostre abitudini, al nostro immaginario, ai nostri vizi, alla nostra cultura, con un risultato esilarante ed ironico.
Il bello è che ad ogni risfogliare se ne scoprono nuovi, di questi saporiti particolari, amplificando il piacere della lettura, che ovviamente è sostenuto, oltre che dalle tavole, anche dal racconto, dove un testo verbale si sposa perfettamente con quello iconico, giocando alla contraddizione, al rimando, all’accenno ammiccante e perfino chiamando in causa il lettore con qualche frase interlocutoria.
Siamo in un universo chiocciola-centrico dove perfino il “gallo” ha le fattezze di una lumaca e il cavaliere dal nome significativo di Panciaterra (Ventre-à-Terre nella versione originale) è costretto a svegliarsi di soprassalto dal suo confortevole sonno per correre a rispondere all’attacco del rivale Cornomolle.
Bisogna alzarsi dal bel letto a baldacchino, circondato da quadri e arazzi, dove consorte e animaletti da compagnia ancora giacciono addormentati.
Il testo vorrebbe suggerire una gran fretta da parte del nostro eroe nell’espletare le operazioni mattutine prima di recarsi in battaglia, ma le illustrazioni mostrano esattamente il contrario: il prode signor lumaca se la prende ben comoda tra luculliane colazioni, giornali da leggere, esercizi ginnici, accurata toletta, saluti affettuosi a bambini e moglie e posta da sbrigare.
Nelle figure un’interno-maniero che unisce elementi classici a riferimenti moderni: ci sono gli arredi con motivi antichi ma anche attrezzi da ginnastica, quotidiani, utensili, aggeggi, giocattoli che possiamo trovare anche nelle nostre case, e persino uno spassoso riferimento ad una sorta di Facebook a pergamena e manovella.
D’altra parte la scelta del protagonista non è casuale: siamo nel regno delle chiocciole, come potremmo pensare che vadano di corsa? Bachelet riesce ad usare un simbolo piuttosto ovvio (la lumaca per la lentezza) svuotandolo completamente di ogni didascalismo e pedanteria, liberandolo con la forza dell’ironia e chiamandolo a fare il suo dovere – rappresentare – in maniera fresca, evidente ma allo stesso tempo insolita e divertente.
Quando finalmente il cavaliere Panciaterra riesce a partire per il suo viaggio, anche la strada si rivela ricca di avventure e sorprese: c’è da salvare principesse dalle lunghe chiome segregate nelle torri, indicare la via a cappuccetti di ben noto colore, giocare partite a scacchi con macabri avversari…
Il prode eroe giunge al luogo della battaglia e una grande immagine a doppia pagina rivela il più classico degli schieramenti da combattimento medievali: i due eserciti schierati uno di fronte all’altro con i comandanti in prima linea a tenere alti i vessilli.
“Finalmente si può dare inizio alle ostilità…ma si è fatta l’ora di pranzo”
Si volta foglio e la scena perde tutta la solennità e la tensione della precedente: i soldati sono allegramente seduti sul prato a far bisboccia. Si mescolano nemici e amici e il piacere della convivialità è evidente: perché combattere quando si può mangiare e bere in compagnia?
Dopo il pisolino si è fatto tardi e visto che non si può concludere una guerra sanguinosa a senza pietà in breve tempo è il caso di riavviarsi tutti verso le proprie dimore.
Il doppio registro verbale e iconico di Bachelet è davvero spassoso. Pare che l’autore strizzi di continuo l’occhio dietro le figure che giocano con le parole e l’ironia nasce da un contrasto sornione e benevolo.
A Panciaterra non resta che ripercorrere la via verso casa, imbattendosi in incredibili nuove avventure (perfino i tre briganti di Ungerer sono chiamati in causa!) mentre le parole, come da copione, suggeriscono un’opposta ottica per lo spasso – non faccio fatica ad immaginarlo – dei piccoli lettori o ascoltatori.
(E sicuramente anche dei grandi perché l’albo di Bachelet appartiene a quella gamma preziosa di libri per l’infanzia che hanno gli ingredienti giusti per piacere ad adulti e bambini, rendendo più appagante la condivisione e più proficua la lettura ai fini della costruzione di giovani lettori)
Alla conclusione dell’avventura il prode eroe è accolto con calore. E l’indomani? Al lettore il compito di immaginarlo e poi scoprirlo…
Dopo quella che sembrerebbe una conclusione fatta e finita il libro riserva ancora una pagina con la “morale” della storia. Potrebbe sembrare una pedanteria ma Bachelet è bravo anche nell’ardita opera del pronunciamento di una morale…non moraleggiante. Una chiusa cioè (come avevo notato anche nel caso di altri autori e altro libro) che pur sottolineando messaggi del libro (che in effetti esistono) li confeziona col sorriso a misura di piccolo lettore. Il contrasto è ancora vivo: le parole evidenziano una chiave di lettura ma chi ha fatto l’esperienza della narrazione complessiva dell’albo sa bene che essa qui non si esaurisce. L’autore può permettersi di giocare con i suoi messaggi perché il libro non si chiude su essi, ma è ben di più.
Andare lenti, godere degli affetti, non perdere gli avvenimenti intorno a noi, saper vedere gli altri, assaporare i piaceri del quotidiano…e per i conflitti c’è sempre tempo. Un’ode ai valori di pace e lentezza acuta, fantasiosa e intelligente, bislacca e divertente (e un invito a guardare, osservare e immaginare).
(Età consigliata: dai quattro anni)
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