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Il cavallo

Da Parolesemplici

cane cavallo

Gira la rotonda su sé stessa.
Il cane ci sta un po’ a capire come uscirne. Fosse per lui seguirebbe il cerchio, all’infinito. L’aria è calda, gialla e polverosa. La luce cade dritta sul suolo e s’irradia intorno. Il cane cammina veloce, o corre lento, dipende dal punto di vista. Non ha paura, anche se è infastidito dalle molte auto: dallo stridere delle ruote e dei freni, dai rombi dei motori e dei bassi degli amplificatori, dai cigolii metallici e dagli odori di grassi e oli.
Il cane è pazzo. Non lo sa nessuno eccetto il bambino.
Mezz’ora prima di adesso, più o meno: il cane è accovacciato in un cantuccio all’ombra. Un vecchio pallone di cuoio rotola, lento, verso di lui, fermandosi a pochi centimetri dalla coda. Un bambino, dieci anni circa, capelli e pantaloni corti, arriva a recuperarlo, bloccandosi impietrito una volta scorto il cane. Ma quello torna a chiudere gli occhi. Il bambino si tranquillizza, ci pensa un attimo, si china verso il pallone, e anche verso il cane. Prende il pallone. Accarezza il cane che si gira, pigro, a mostrare lo stomaco. Il bambino sorride, luminoso e felice, e gli gratta la pancia. Il cane ad un tratto, senza alcun motivo apparente, con un guizzo salta sulle zampe e azzanna l’avambraccio del bambino, sbatacchiando collo testa mandibola mascella denti braccio e bambino intero a destra e a sinistra, e poi ancora a destra, più volte. Sapore del sangue nella bocca, urla del bambino nelle orecchie: non è sangue quel che il cane voleva, né le urla, e così lascia la presa e va via. Il bambino resta piangente e urlante per terra, raggomitolato, con il braccio attaccato al corpo: ma a brandelli.
Il cane è pazzo ma ha pensato saggiamente che è meglio andare via.
Adesso è nella strada grande che costeggia il mare. Caracolla sotto i portici. In quei palazzi, uffici: a quest’ora non c’è nessuno. Le uniche forme di vita sono le automobili, con il loro sibilante passare. Il cane corricchia e sobbalza, lingua penzoloni, orecchie traballanti, coda ondulante. Sembra segua una qualche musica da discoteca. Lui, il cane, è marrone e nero: non s’aspetta giudizi positivi sul valore estetico del proprio manto.
Forse si distrae, o forse è solo perché a tratti una linea di pazzia sembra prendere il sopravvento, ma scarta all’improvviso alla sua destra, immettendosi nel traffico che, in quel tratto di strada, va in direzione contraria rispetto alla sua. Però è sulle strisce pedonali. Una Vespa frena, si piega, poi accelera, e lo supera, mentre il conducente si volta a guardare cosa gli si era parato davanti. Una Punto, bianca e sporca, inchioda: col caldo i copertoni si avvinghiano all’asfalto e sembrano squagliarsi su di esso per una maggiore presa, come le ruote nei cartoni animati. Il cane frena e inchioda pure, ma la sua testa sbatte contro il paraurti dell’auto in frenata. Il cane effettua una specie di capriola, si ridesta, torna indietro, aumenta l’andatura rimettendosi sotto i portici. L’autista della Punto impreca: attraverso l’aria rovente il suono delle parole rallenta, si vaporizza e poi diventa liquido, e cade per terra.
Il cane svolta l’angolo, entra in una strada senza uscita. Intravede qualcosa sul fondo, lo raggiunge: è un cavallo. Intero, adulto, lucido e gonfio. E’ un cavallo morto, gli occhi spalancati, la testa poggiata a terra, la lingua violacea tra i larghi denti.

Titoli di coda


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