Magazine Diario personale

Il cecio cinese

Da Aquilanonvedente

legumiMentre oggi al supermercato facevo scorta di lenticchie, ceci e fagioli, mi sono ricordato di un vecchio articoletto di alcuni mesi fa e tornato a casa sono andato a riprenderlo, ricordandomi di averlo messo da parte (per quale motivo, non lo so nemmeno io).

Pare che in Italia dalla fine degli anni 50 vi sia stata una progressiva riduzione delle coltivazioni dei legumi destinati alla produzione industriale (fagioli borlotti, cannellini, ceci, lenticchie).

La superficie destinata a coltivazione di fagioli, per esempio, è passata dai 365.000 ettari del 1961 ai 7.000 ettari attuali; da 21.000 a 2.000 quella destinata alle lenticchie; da 79.000 a 7.000 quella dei ceci.

La motivazione del tracollo di queste produzioni, pari a circa il 90%, sta nella bassa redditività di questi prodotti.

E però gli italiani mica hanno smesso di mangiare lenticchie, ceci e fagioli (e si sente…).

La produzione italiana copre all’incirca il 10% del nostro fabbisogno, ergo, dobbiamo importare, non solo dai grandi produttori del Nord e Sud America (il fagiolo è originario dell’America), ma anche dalla Turchia, dal Medio Oriente e dalla Cina.

In questi ultimi casi, pare che i controlli si siano fatti più rigidi, ma si sa come vanno le cose in Italia, no? Ormai possiamo stare certi di aver mangiato o di avere in dispensa un bel po’ di legumi cinesi…

Certo, lo capisce anche un bambino che continuando a disseminare il nostro territorio di immensi capannoni di

cascina
logistica con parcheggi spropositati; continuando a costruire strade che appena terminate sono già intasate di auto e si pensa subito a raddoppiarle; continuando a sbancare terreni per fare posto a linee ferroviarie ad alta velocità che non servono a una beata mazza di niente, perché il viaggio durerà forse mezz’ora in meno, ma poi una volta arrivato a destinazione sprechi un’ora per arrivare alla meta; insomma, continuando così, i terreni agricoli si sono ridotti drasticamente e allora i prodotti della terra dobbiamo andarli a prendere all’estero.

Avremmo dovuto preservare l’agricoltura, utilizzando le macchine per eliminare i lavori più faticosi, ma mantenendo quegli indispensabili presidi del territorio che erano le vecchie cascine di una volta. Avremmo dovuto insegnare ai nostri figli a mantenere un legame con la terra; ad abbronzarsi non soltanto al mare o in piscina, ma anche nei campi; a spalancare le finestre al mattino e ritrovarsi davanti campi, prati, alberi e non una strada piena di automobilisti schizofrenici.

In fondo, sono stato fortunato a vivere, nella mia infanzia, questi momenti. Lo so che non torneranno più, però il loro ricordo mi scalda il cuore…

 



Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog