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Il centro-sinistra europeo in difficoltà per il protrarsi della crisi economica

Creato il 26 marzo 2014 da Conflittiestrategie

In breve

La crisi economica sta ridisegnando il quadro della politica e delle ideologie europee. La destra nazionalista diventa più populista, criticando l’Unione Europea e le élite politiche che la difendono, e rifiutando l’immigrazione. I partiti di centro-destra temono di perdere voti a vantaggio dei loro avversari di destra, perciò hanno adottato alcuni dei punti dell’agenda nazionalista. I partiti di centro-sinistra affrontano una crisi d’identità perché hanno sempre sostenuto una forte integrazione europea e l’espansione dello stato sociale. Entrambi questi concetti sono in crisi, e i partiti progressisti non riescono ad adattarsi al nuovo scenario sociale e politico dell’Europa. La destra estrema ed il centro-destra continueranno ad attrarre voti. Nei prossimi anni vedremo probabilmente un aumento della pressione per abbandonare la moneta unica e per introdurre nuove barriere contro l’immigrazione e il libero scambio di merci.

Analisi

In Europa esiste una forte connessione tra l’integrazione sovranazionale e le politiche di centro-sinistra. Nei primi anni ’40 degli ex-comunisti – per lo più italiani – fondarono il Movimento Federalista Europeo, che proponeva la graduale dissoluzione dello stato-nazione e la sua sostituzione con una federazione di stati europei. Secondo loro, il perenne stato di guerra in Europa era dovuto alle nefaste conseguenze di un nazionalismo pervasivo, che rese lo stato-nazione la causa, invece che la soluzione, ai mali del continente. Il più importante documento del movimento fu il Manifesto di Ventotene, che proponeva la creazione di una federazione di nazioni europee che adottassero la stessa moneta. Esso è considerato il manifesto ideologico dell’integrazione politica ed economica europea.

Negli anni ’50, la maggior parte dei partiti socialdemocratici in Europa Occidentale auspicava l’integrazione. Questa era vista come una via per migliorare la qualità della vita sul continente, e per espandere e uniformare la legislazione sociale tra le nazioni. I loro avversari di centro-destra non furono sempre così convinti, ma videro l’espansione del libero scambio di merci in Europa come una necessità per la pace nel dopoguerra (una visione condivisa dagli Stati Uniti, che spinsero i paesi dell’Europa Occidentale verso l’integrazione agli albori della Guerra Fredda). A prescindere dalla loro ideologia, la maggior parte dei partiti di massa era d’accordo che l’integrazione a livello europeo fosse l’antidoto ai pericoli del nazionalismo.

La Comunità Economica Europea (il predecessore dell’Unione Europea) fu creata nel 1957, disegnata per soddisfare la maggior parte dei settori dell’establishment politico europeo. I conservatori videro la creazione di una zona di commercio libero, dove le barriere transnazionali al commercio furono abolite e beni e servizi poterono muoversi liberamente. Anche i progressisti erano soddisfatti, perché una grande quantità di denaro sarebbe stata destinata alla coesione sociale ed economica (sotto forma di fondi strutturali per aiutare le regioni più povere e di una Politica Agricola Comune per finanziare il settore agricolo). In altre parole, gli Europei trovarono un modo di far coesistere – in apparente armonia – liberalizzazioni e protezionismo.

La promessa della prosperità economica fu il collante del progetto europeo. Nel corso del tempo, governi con tendenze ideologiche diverse chiesero di entrare nel blocco iniziale, che crebbe da sei membri europei occidentali negli anni ’50 a ventotto nazioni su tutto il continente nel 2014. La maggior parte dei partiti politici considerava l’Unione Europea un fattore chiave per la prosperità economica. I partiti nei paesi dell’Europa meridionale videro l’integrazione come la via per assicurare la transizione dalla dittatura alla democrazia negli anni ’80. Negli ex satelliti sovietici i partiti videro l’appartenenza all’UE come un passo necessario nel proprio passaggio dal comunismo all’economia di mercato negli anni 2000.

Nei primi anni ’90, la firma del Trattato di Maastricht, che creò l’Unione Europea, generò un debole euro-scetticismo nell’Europa settentrionale. I governi conservatori del Regno Unito e della Danimarca negoziarono un’esenzione dal trattato. In particolare, essi chiesero di essere lasciati fuori dall’Euro-zona. Tuttavia anche questi paesi sostennero la creazione dell’Unione Europea.

Gli effetti della crisi in Europa

La crisi economica dell’Europa sta influenzando le politiche del continente, danneggiando in modo particolare i partiti di centro-sinistra. In varia misura, a seconda del paese e del partito considerati, la maggior parte dei partiti di centro-sinistra in Europa sostiene uno stato basato sul concetto generale di welfare. L’idea di uno stato forte e attivo, che garantisca la sicurezza generale, la salute e l’educazione dei propri cittadini, è un punto centrale della socialdemocrazia europea – un punto che tuttavia si scontra con la realtà economica e demografica del continente. La crisi economica sta mettendo in discussione il ruolo dello stato nell’economia e nel welfare in particolare.

Già prima della crisi del debito in Europa, nell’Europa Occidentale si stava lentamente aggravando una crisi demografica e di competitività, la quale in certe nazioni avrebbe finito col mettere in pericolo lo stato sociale anche se l’attuale crisi economica non fosse mai avvenuta. L’introduzione dell’euro ha complicato ancora di più la situazione. Prima della creazione della moneta comune, i paesi potevano rispondere ai periodi di ribasso svalutando la propria moneta per recuperare competitività. Con il trasferimento della sovranità monetaria all’Unione Europea, l’unico strumento rimasto nelle mani dei governi nazionali è la politica fiscale. Ciò tuttavia comporta spesso misure di austerity, come tagli alle pensioni, aumenti delle tasse e riduzione dei sussidi – provvedimenti che vanno contro le piattaforme socialdemocratiche.

Ciò è stata la causa della caduta dei governi di centro-sinistra in Grecia, Spagna e Portogallo durante la prima fase della crisi. Questi governi furono eletti con programmi di educazione accessibile, salute e lavoro garantiti, ma non poterono realizzare nulla di tutto ciò – sia perché i loro paesi non potevano permetterselo, sia a causa delle pressioni dell’Unione Europea. La vittoria del Partito Socialista in Francia generò la speranza che il presidente Francois Hollande potesse arrestare la spinta dell’UE verso l’austerity, ma il Governo Francese fatica a scegliere una direzione di marcia e si trova pertanto di fronte a tassi di gradimento in caduta libera e ad un malcontento sociale crescente.

A differenza dei loro colleghi di centro-sinistra, i partiti di sinistra sono più decisi nel criticare le misure di austerity e ritengono che gli stati-nazione dovrebbero avere il permesso di reintrodurre le barriere al commercio per proteggere le imprese locali. Ma anche questi partiti esitano a criticare l’euro o l’immigrazione. La Coalizione della Sinistra Radicale greca, o Syriza – uno dei pochi partiti di sinistra con buoni risultati nei sondaggi – è stato forse il più fermo nel criticare le misure di austerity, ma è intenzionato a mantenere l’euro. I partiti di sinistra stanno crescendo in Spagna e Portogallo ma non hanno ancora abbandonato il credo dei progressisti a favore dell’Unione Europea. La maggior parte di loro ritiene che le riforme si possano attuare senza abbandonare il blocco, e l’immigrazione non è un fattore centrale della loro agenda.

Per i partiti conservatori è più facile adattarsi alle nuove condizioni. Per loro, l’attuazione delle riforme strutturali – comprese la riduzione della presenza dello stato nell’economia, le privatizzazioni, la flessibilità del lavoro e i vincoli sullo spostamento dei lavoratori – sono tutti in linea con la loro agenda politica. Tali riforme sono piuttosto impopolari tra certi elettori, ma non creano lo stesso numero di conflitti interni che causano all’interno del centro-sinistra.

Certi partiti conservatori sono perfettamente a loro agio anche nel criticare l’integrazione europea. Nel Regno Unito, il governo a guida conservatrice sta facendo pressioni per rinegoziare i termini di appartenenza all’UE, ed ha promesso un referendum per il 2017 sulla permanenza del paese all’interno dell’Unione. In Ungheria, il partito di governo Fidesz ha criticato l’Unione Europea per la sua incapacità di riconoscere le priorità e le differenze nazionali tra i paesi membri. Tali partiti sono molto diversi (i conservatori inglesi sono liberisti, mentre Fidesz promuove una maggiore presenza di Budapest nell’economia ungherese) ma essi condividono l’idea che Bruxelles ha ottenuto troppa della sovranità degli stati membri.

Anche quei partiti conservatori che in generale appoggiano l’integrazione nell’UE, hanno suggerito che gli stati-nazione dovrebbero contare di più negli affari dell’Unione. I membri dell’Unione Cristiano Democratica tedesca hanno criticato la mancanza di democrazia nell’Unione Europea e recentemente hanno proposto di limitare i sussidi sociali agli stranieri. L’Unione per un Movimento Popolare francese ha criticato più volte il libero movimento dei cittadini nell’Europa ed ha rifiutato  l’entrata della Bulgaria e della Romania al Trattato di Schengen. Per i paesi nel cuore dell’Europa è più difficile criticare l’integrazione europea, dal momento che essi hanno molto da perdere. Tuttavia stanno cominciando a mettere in discussione l’autorità di Bruxelles.

Perché la popolarità dei partiti nazionalisti aumenta

La difesa dello stato sociale e la critica dell’Unione Europea sono al centro dell’agenda dei partiti nazionalisti di estrema destra. Questi partiti ritengono che il processo di integrazione europea dovrebbe essere congelato, o addirittura cancellato, al fine di proteggere le prestazioni sociali e di creare opportunità di lavoro. Partiti come il Front National francese e il Partito per la Libertà olandese credono che abbandonare l’euro sia essenziale per la ripresa economica dei loro paesi e che l’immigrazione massiccia stia danneggiando le loro economie.

Ci sono importanti differenze ideologiche all’interno della destra nazionalista. Il Front National difende la necessità di applicare barriere protezioniste – in linea con la tradizione economica francese – mentre il Partito per la Libertà sostiene il ruolo storico dei Paesi Bassi come nazione commerciale e pertanto difende il libero scambio all’interno dell’Europa. Essi hanno tuttavia in comune l’idea che le loro nazioni abbiano consegnato troppo potere nelle mani dei burocrati non eletti di Bruxelles. Questi partiti attirano i voti delle aree più colpite dalla crisi o più preoccupate per l’immigrazione e il crimine. Essi stanno anche attirando l’attenzione di quelle persone che pensano che l’immigrazione crescente stia erodendo l’identità e i valori nazionali.

I partiti nazionalisti di destra capitalizzano anche le loro critiche veementi all’establishment politico ed economico. Una parte del loro supporto popolare non viene dai critici dell’Unione Europea, ma dalle persone che hanno perso la fiducia nelle élite tradizionali. Questi elettori ritengono spesso che i responsabili della crisi attuale siano i politici nazionali ed europei – assieme ai banchieri e alle corporation internazionali. Dal momento che i partiti nazionalisti non sono stati quasi mai al potere, la popolazione li vede come un’alternativa all’establishment. I partiti di destra hanno preso il posto dei partiti comunisti quali partiti di protesta, specialmente nell’Europa settentrionale.

Le difficoltà del Centro-sinistra

I partiti europei di centro-sinistra si trovano di fronte a un dilemma chiave: se lavorare alla riforma dell’Unione Europea dall’interno, o se adottare una retorica anti-UE più decisa, che difenda l’esistenza di stati-nazione più forti. La prima opzione comporta lavorare per riforme graduali i cui benefici saranno visibili solo nel lungo termine. La seconda opzione richiederebbe misure più drastiche come l’uscita dall’euro e la riconquista della sovranità nazionale.

Con la crisi economica che si protrae e il sostegno all’Unione Europea che in certi paesi diminuisce, i partiti di centro-sinistra finiranno con il pendere verso una posizione più aggressiva all’interno del blocco. Ma i loro rivali nel centro-destra, le destre nazionaliste e, in certa misura, anche l’estrema sinistra, sono già all’opera in tal senso, pertanto questi partiti dominano sempre più l’agenda anti-UE mentre il centro-sinistra ha perso terreno.

Ancor più importante è il fatto che i partiti nazionalisti di destra stanno cessando di vivacchiare ai margini delle scene politiche domestiche, perché i cittadini li appoggiano più apertamente. Con la crisi europea, sostenere un partito come il Front National non è più un tabù, e la critica all’immigrazione è diventata un problema legittimo nell’agenda politica dei partiti. Rispetto ai loro avversari progressisti, i partiti conservatori e nazionalisti sono più fermi nel chiedere la restituzione della sovranità da Bruxelles, perciò negli anni a venire le sfide principali alla sopravvivenza dell’Unione Europea verranno dal centro-destra e dalla destra estrema.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il nazionalismo era visto da tutti come un’ideologia pericolosa, e la maggior parte dei partiti politici europei considerava l’integrazione europea come un antidoto. Con l’avvento della crisi economica, gli elettori e i partiti stanno riscoprendo il nazionalismo e stanno diventando più decisi nel rivendicare la sovranità nazionale da Bruxelles. In alcuni casi, certi partiti populisti sfruttano questa situazione per indirizzare il malcontento popolare verso l’Unione Europea e gli immigrati.

Ciò non significa che nel prossimo futuro le nazioni europee precipiteranno nel fascismo. Ma nei prossimi anni vedremo molto probabilmente la crescita delle voci che rifiutano i tratti principali dell’Unione Europea – come l’Euro, o la libertà di movimento per persone e merci. Questo metterà in discussione la sopravvivenza del blocco continentale nella sua forma attuale.


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