Questa è la storia di Sheikh Abdulla, un guaritore afghano, che vive da semi-nomade nella provincia di Herat. Si sposta di villaggio in villaggio per curare chi soffre con le medicine che ricava dalle erbe. Dimostra più di anni di quelli che effettivamente ha. Vive solo, ma chi lo conosce sa che un tempo aveva una moglie. La sua mano trema. Ma non è stato sempre così: tanti anni fa era salda e imbracciava un fucile, un fucile sovietico. Sì, perché il vero nome di Sheikh Abdulla è Bakhretdin Khakimov e nel 1980 arrivò in Afghanistan con l'Armata Rossa.
Aveva vent'anni, veniva da Samarcanda, quando ancora l'antica città faceva parte dell'Impero Sovietico. Venne ferito durante un combattimento, fu considerato disperso dai suoi commilitoni. In realtà fu soccorso, curato e nutrito da un uomo afghano più anziano di lui, che ora non c'è più. Questi gli insegnò le arti della guarigione tradizionale. Bakhretdin decise di non tornare più indietro: cambiò nome in Sheikh e, soprattutto, cambiò vita.
Non perse la memoria come Chemako, ma, come lui, rifiutò la guerra e accolse la nuova vita che il destino gli donò. Scelse di guarire gli altri e non di ucciderli: in altre parole, scelse di essere uomo.