C’è poco da fare: John Frusciante è l’MVP (Most Valuable Player) dei Red Hot Chili Peppers e senza di lui sono una band, a esser generosi, appena di medio livello. Negli ultimi tempi nemmeno lui poteva più far miracoli, però almeno nel doppio logorroico eccessivo Stadium Arcadium, su 2 dischi pieni di roba inutile, perlomeno con il meglio si riusciva a tirarne fuori quasi (e ho detto quasi) uno decente. Perché se già da By the way davano l’impressione di trascinarsi un po’ nella stanchezza generale, ogni tanto qualche barlume si vedeva ancora, e a questo punto l’impressione è che l’unico in grado di riaccendere la luce fosse John “Jack” Frusciante.
Il batterista dei Red Hot secondo me è Will Ferrell...
Si può allora immaginare di essere ritornati ai tempi di One Hot Minute, il disco tra Blood Sugar Sex Magik e Californication realizzato senza IL chitarrista, ma con Dave Navarro al suo posto… E invece no, perché il nuovo Josh Klinghoffer non vale neanche un Navarro, e soprattutto perché almeno in quel lavoro c’erano ancora pezzoni come My Friends e Aeroplane che qui proprio no, col cavolo che si trovano. Qui dentro ci sono 14 canzoni, che sono comunque troppe come in tutti i loro lavori, persino quelli più riusciti, ma di minimamente memorabile cosa c’è?Un disco che fila prevedibile come ci si immagina dovrebbe suonare un disco dei Red Hot, o meglio come dovrebbe suonare un disco di B-side senza ispirazione dei Red Hot. In “Did I let you know” provano a inserire un assolo di tromba giusto per fare qualcosa di diverso dal loro solito, ma più che altro sembra una cosa a caso fatta apposta per suonare un minimo diversi dal solito. Comunque è sicuramente tra i pezzi più riusciti del L8, insieme alla (+ o -) tirata “Goodbye Hooray”, alla delicata “Meet me at the corner” e al primo singolo “The Adventures of Rain Dance Maggie”, tanto per dire di mantenere basse le aspettative e non pretendere grandi cose.
Certo che Flea è invecchiato davvero male...
Tra gli episodi già sentiti e strasentiti ci sono robe come “Ethiopia” o la cantilena di “Look around” che fanno davvero venir voglia di chiedere indietro i soldi non spesi per lo scaricamento. Anche se il senso di déjà vu, anzi di déjà senti aleggia un po’ su tutti i pezzi.Dimenticata la parte più funk della band, per non dire della componente vagamente hip-hop, stavolta i RHCP propongono un pop-rock standard molto classico e senza troppe deviazioni. Produce il tutto Rick Rubin, uno che passa da perle assolute come Adele a schifezze assolute come Kid Rock. Per soldi ormai produrrebbe qualsiasi cosa, ma nulla di male in questo, non ho mica niente contro la prostituzione. Peccato che rischi di fare la fine di Slash, uno che dietro compenso ha suonato persino su un pezzo di Vasco e con una buona paga e un hotel all-inclusive probabilmente porterebbe chitarra e cappello a cilindro persino alla Festa dell’uva nella “mia” Casale.“I’m With You” (traduzione: “Sono con te”, interpretazione: “Ma anche no”) non è niente di inascoltabile o indecente, per carità, e considerando il livello medio di certi rockers di una certa età che tirano fuori delle porcate allucinanti (qualcuno ha tirato di nuovo in ballo Vasco??) è già una cosa non da poco. Però è anche uno di quei dischi che certo non ti fanno venire voglia di schiacciare play di nuovo e anzi non vedi l’ora che finiscano. E con tutti le cose interessanti che ci sono là fuori suonate da band molto meno note, ma molto più meritevoli, meglio rivolgere le proprie orecchie altrove.