«Tutto è vano, tutto è illusione, tranne questo cielo infinito. Non esiste nulla, tranne esso. Ma nemmeno esso esiste; non esiste nulla, tranne il silenzio, la quiete, il riposo. E sia lodato Iddio!...»
Questo capitolo toccante e pieno di grandezza e di umanità è ancora più significativo se si considera che viene dopo un altro nel quale il conte Nicola Rostov, incaricato di recare un messaggio ad Alessandro I, il giovane e bello, il fanciullesco e altero imperatore russo, non ha il coraggio di dar seguito agli ordini. Nicola, che ha voluto con tanta forza star dietro al suo mito, stargli vicino, si apposta in modo quasi da pedinarlo, tutto preso da un amore che Tolstoj associa senza troppi complimenti alla seduzione che un innamorato tenta sulla donna che ama.
Alessandro, così, non viene avvicinato, Nicola resta ai margini del campo dove l'inesperto zar siede come accade in un salone dove il cavalliere sospira tra sé e perde il nuovo giro di walzer con la sua dama. Un altro soldato, infatti, prende il posto di Rostov e parla dell'esito della battaglia e della fuga ignominiosa ad Alessandro, il quale piangendo per la disfatta sotto il cielo di Austerlitz, tuttavia in un atto di amore fraterno prende il suo messaggero per mano e provoca così la gelosia cocente, nonché il primo crollo emotivo di Nicola.
Mi sembra che Roberto Vecchioni abbia ricavato proprio da questi incontri mancati, il cui parallelismo non manca di commuovere, la materia per una canzone stupenda, che si intitola appunto Il cielo di Austerlitz. Vecchioni vi fonde in qualche modo la figura di Andrea e quella di Alessandro, donando all'imperatore lo sguardo del principe. E lì siamo anche noi, che stiamo a osservare impotenti il dilagare del senso di sconfitta. Ancora una volta, grazie, professore Vecchioni.