Il cignanatroccolo

Da Fiaba


Martedì 18 Gennaio 2011 18:37 Scritto da brunaparodi

C'era una volta un piccolo anatroccolo, gli occhi grandi e verdi, il becco aguzzo e tanta, tanta voglia di arrivare.

Era tanto insignificante, o almeno così riteneva di essere, che andava per di qui e per di là  ricoperto di splendide penne bianche, prese in prestito chissà dove, che avevano il potere di farlo apparire nel rilucente aspetto di un cigno.

Ammirato, amato, odiato per quelle splendide penne bianche,  correva affannosamente, pieno di noia,  gli occhi sempre più  grandi e più verdi,  il cuore sempre più piccolo e freddo: voleva arrivare e per arrivare  non aveva bisogno di  stupidi anatroccoli, ma solo di cigni che gli avrebbero finalmente aperto gli occhi sul mistero di un giardino incantato.

Lui aveva capito, quello che doveva fare era  correre, correre senza posa verso la meta; la meta, quella sì la conosceva bene, ma per poterla raggiungere occorreva trovare la strada.

Gli anatroccoli suoi pari  mai avrebbero potuto indicargliela : piccoli, stupidi,  brutti anatroccoli , chiusi nella loro sciocca mediocrità e privi di quelle splendide, rilucenti penne bianche,  come avrebbero saputo farlo se era loro preclusa la  possibilità di  capire ?  

Lui, invece, aveva capito, aveva capito che per arrivare occorreva correre.

Il suo strano modo di incedere, con quelle splendide ali prese in prestito chissà dove, attirava la curiosità della gente, che si fermava stupita a guardarlo : i suoi occhi sempre più grandi e più verdi brillavano allora di gioia e in quei momenti sembrava quasi umano e lo stupore della gente aumentava.

E più lo stupore aumentava, più il brutto cignanatroccolo sentiva crescere in sé  il desiderio di correre.

Né  piccole compagne dagli occhi umidi e tristi, né  amici di un'infanzia lontana , niente e nessuno avrebbero potuto fermarlo né soffocare il suo desiderio di arrivare,  di scoprire il mistero di quel giardino incantato.  

Giunse una sera, dopo tanto affannarsi, al limitare di un fitto bosco, davanti  ad  un castello trasparente come  cristallo , oltre il quale s'intravedeva un rigoglioso giardino.  Era arrivato?     

Varcato il  portone d'ingresso, si trovò in  un ampio  atrio , in fondo al quale , nella penombra, si intravedeva  una  lunghissima scala  che conduceva  al  piano superiore.  

Voci  sommesse,  come  bisbigli  di zefiri tra  le fronde, riempivano l' immobilità  di quel  silenzio millenario.

Il cuore del piccolo cignanatroccolo cominciò a battere furiosamente, mentre un  raggio di luna, timidamente penetrato da una feritoia, faceva brillare quelle sue splendide piume bianche, prese in prestito chissà dove.  

Trattenendo il respiro, mentre il cuore sembrava sul punto di scoppiargli nel petto, cominciò a salire le scale, tendendo  l'orecchio per captare  quei suoni, la verità di quelle voci.

Era arrivato?  Avrebbe potuto infine fermarsi ?

Le bianche piume, madide di sudore, gli scivolavano dal dorso e faceva fatica a trattenerle.  Rischiavano quasi di soffocarlo. Come avrebbe potuto presentarsi degnamente  senza un abito adeguato?

Il brusio  di quelle voci si fece, man mano che saliva, sempre più intenso , poi  all'improvviso, come ebbe raggiunto la sommità ,  si arrestò. 

E allora apparve agli occhi di quel piccolo, spaurito anatroccolo, dalle ali di cigno prese in prestito chissà dove, uno spettacolo arcano: nelle limpide acque di un laghetto non cigni, ma tante piccole fiammelle agitate da piccole ali  convulse. 

Tanti piccoli, stupidi, brutti ed inutili  anatroccoli  stringevano nelle loro piccole, stupide, brutte, inutili  ali  una piccola parte del mistero di quel giardino incantato.



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